Scuola a distanza: cronaca della mia prima video lezione

Firenze – La mattina mi lavo il viso, mi guardo allo specchio, mi trucco, vedo sul lavandino la boccetta del mio solito profumo; in modo meccanico ne verso un po’sulle mani, dopo averle lavate e rilavate. Mi vesto, la tentazione sarebbe quella di curare solo il mezzo busto: giacca elegante su pigiama stropicciato, tanto, penso, la video camera non riesce ad inquadrare tutto, ma rimprovero a me stessa anche solo questa tentazione. Infine mi siedo al pc.

La prima volta di una video lezione con i miei studenti, salutati ormai da diversi giorni  e ritrovati in questa specie di day-after, in cui tutte le nostre paure sono state risucchiate, raccolte in un tempo diverso, dai ritmi dilatati, sfumati. Impalpabili.

La prima volta di una mia video lezione, preceduta da contatti spasmodici con i colleghi; la scuola invisibile, quella senza rumori ed odori. Quella che non vibra lungo le scalinate, che non sciama durante la ricreazione, né schiamazza all’uscita. Ma che si materializza in piccoli miracoli informatici, magie dei nuovi tempi, grazie a un lavoro nascosto.

Così, mentre rimprovero a me stessa di aver sempre rinviato occasioni di aggiornamento sulla didattica digitale, mi affretto ad imparare, perché, per noi tutti, abituati a consuetudini gregarie, adesso è importante anche solo vedersi. E mentre loro, i nativi digitali, sono pronti e mi stanno aspettando pazienti di là dal monitor già da qualche minuto, io, spettinata, dopo giorni frenetici, pieni di incombenze, interrogativi e ansie malcelate, non ho il codice. Solo un codice mi separa da loro! Finalmente, quasi per caso, con la solennità di un gesto scaramantico, digito un tasto e inizio la connessione.

Un farmaco dolce e tiepido i loro volti, aperti giovani lisci, ascolto i loro saluti. 

Perché siamo noi ad aver bisogno di loro, noi, pieni di responsabilità e interrogativi senza risposte, con le nostre lezioni, in questo silenzio surreale, in cui Luigi non dà più fastidio al compagno, in cui nessuno interrompe per chiedere di uscire e nessun bidello bussa alla porta per farci firmare una circolare. Ma quanto tempo fa succedeva tutto questo? E io, sono sempre la stessa? E loro? “Che sono”? Cosa frulla nella loro mente? Cosa produce nelle loro vite questo isolamento innaturale?  E nel silenzio devo fare la mia parte, il mio schermo è scuro, nel loro si profila la mia faccia, riempirlo di senso, questo silenzio, di un senso che sembra sparito all’improvviso.

PRIMA dovevamo faticare a strappar loro i telefoni, per costringerli ad ascoltarci, per accompagnarli nel mondo vero. T.Q.T! tuonavo, fino a pochi giorni fa: Togli Quel Telefono! E loro ridevano, appuntandosi la mia battuta.

ORA, il mondo vero, l’unico mondo possibile, brilla nei monitor dei loro smartphone come una scialuppa; ci riconosciamo, qualcuno riesce anche un po’ a commuoversi, we are all on the same boat.  Cantini, che fai! Sei in linea? Mentre Laura, nella sua stanza, cerca di allontanare il fratellino che si impone in un primo piano e non sente ragioni. Lei, in imbarazzo, spegne l’audio, ma mentre gesticola, capisco che il piccolo è irriducibile.

Dunque, provo a parlargli io. Lui si avvicina allo schermo, mi osserva curioso quasi a volermi annusare, come se fossi un alieno, ma sembra al momento soddisfatto dalle mie parole gentili e per un po’si mette a giocare da solo. Dunque, dicevamo? La rivoluzione inglese? E che dire di questa di adesso, di dimensioni planetarie che ci porta inaspettatamente di qua e di là come in una bufera dantesca?

Devo essere io, proprio io, a tenere la barra dritta, sorrido, tranquillizzo, scherzo un po’. Il contatto dura quasi un’ora, faccio la mia spiegazione, chiedo ai ragazzi se hanno capito; infine ci salutiamo. Quindi inizio a correggere i compiti assegnati, inviati con mezzi di fortuna: fotografie di quaderni raffazzonati, oppure fogli ben formattati. Li curo come non mai, mentre la sera mi arrivano messaggi densi di ansia e talvolta pretestuosi: Prof., non riesco a caricare i compiti di grammatica; domani spiega, vero? E rispondo. Anche di notte. Un messaggio che arriva nella notte, può essere importante, penso. Anche per me.

Ricordo una classe di tanti anni fa, vivace e un po’ casinista; per farmi strada in quel brusio scomposto e festoso scherzavo: “Io sono il capitano, voi la ciurma, dovete soltanto darci di gomito per lavare il ponte!” E l’ultimo giorno di scuola li vedo scambiarsi cenni, capisco che stanno preparando qualcosa. Infine il più scavezzacollo si presenta con un salvagente, di quelli professionali, arancioni, di plastica dura, con le firme di tutti i compagni e una scritta in grassetto: “Dalla sua ciurma preferita”. Mi sono sempre domandata chi avesse salvato chi. Esattamente come adesso.

 

Foto: https://www.punto-informatico.it/come-creare-video-lezioni/

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