Firenze – Della sua attività di fondatrice della Libreria della donne e di presidente dell’associazione Artemisia restano scritti e appunti per interventi in convegni, incontri di formazione, gruppi di discussione. Li ha raccolti il marito, aiutato dalle amiche di lei in un volume dal titolo “Riprendersi la vita”, pubblicato da Le Lettere e distribuito in occasione del quinto anniversario della morte, avvenuta il 5 aprile 2014.
Sono dieci scritti di “politica con le donne”, come recita il sottotitolo, redatti nell’arco di tempo di un ventennio (1994-2014), ben curati e ricostruiti nonostante che non fossero (tranne uno) destinati alla pubblicazione, ma dovessero servire come traccia per interventi orali.
Nicoletta Livi Bacci non era né una saggista né una scrittrice: era una donna d’azione, positiva e infaticabile, capace di unire praticità e creatività, perché aveva una passione e un obiettivo che andavano ben oltre il suo orizzonte individuale: “Per quel che mi riguarda – scrive – io non penso al mio lavoro come volontariato, ma come lavoro politico, fatto insieme ad altre donne, con passione creatività e energia. Passione per le possibilità di cambiamento, e soprattutto per la libertà femminile”.
Attenzione a quel termine “politico”, che indica una metodologia di impegno collettivo. E a quell’altro, “libertà”, che è il punto di arrivo della perfetta realizzazione dell’essere umano, dalla quale però le donne sono ancora lontane. Perché nella competizione per il potere all’interno della coppia, così come nella società, partono svantaggiate per tradizione, consuetudine, ideologia, pregiudizio e legislazione.
Tra questi due termini si pone la scelta di Nicoletta di impegnarsi prima in un doposcuola milaniano, in un quartiere disagiato di Firenze, e poi nel movimento femminista degli anni 70, rifuggendo dalle parole astratte e dalle rivoluzioni solo teoriche, fino a fondare nel 1978 la Libreria delle donne.
La libreria è stato uno dei centri più attivi e più efficaci del movimento, punto di riferimento delle donne che rivendicavano sempre più apertamente una effettiva parità di genere, al di là delle accondiscendenze e delle concessioni di natura ambigua: “Le donne – scrive nel primo dei testi dedicato appunto alla festa dell’8 marzo – sono ormai a pieno titolo nel mondo, lavorano, consumano, pagano le tasse, producono sapere, ricchezza e cultura: peccato che i media non se ne siano ancora accorti”.
In quella fucina culturale Nicoletta mise a fuoco la convinzione che la portò alla creazione di Artemisia. Il fenomeno più drammatico della minorità nella quale le donne sono tenute, come retaggio di rapporti familiari e sociali di secoli lontani che stentano a cambiare, è la violenza che sempre più spesso prende la forma estrema del femminicidio.
Nel 1988 Nicoletta presentò a Catia Franci, assessora del Comune di Firenze con delega al Progetto Donna, una proposta per realizzare una rete di protezione nei confronti delle donne che hanno subito violenza. Fu un’iniziativa di grande lungimiranza che inquadrava un fenomeno destinato a diventare in questi anni una vera e propria emergenza. Nacque così, nel dicembre 1994, il Centro donne contro la violenza Artemisia, con la progressiva strutturazione di un sistema di case rifugio a indirizzo segreto per offrire sicurezza e sostegno psicologico alle vittime di maltrattamenti e violenze.
A sostenerlo un gruppo di volontarie che da allora hanno messo a disposizione le loro competenze (giuridiche, psicologiche, sanitarie etc.) per aiutare le donne in fuga dall’esplosione della violenza maschile, ponendo “al centro la donna, e quindi i suoi bisogni e i suoi desideri, piuttosto che offrire una soluzione precostituita”.
Caratteristica fondamentale di questi centri doveva infatti essere flessibilità e libertà, nel rapporto fra donne che è il solo che può trasmettere la comprensione e la disponibilità all’aiuto, senza che vi sia l’ombra e il peso di una qualsiasi forma di potere: sia quello determinato dalla relazione ineguale fra chi offre e chi chiede aiuto, o dalla complessità della burocrazia delle istituzioni.
Il punto essenziale è indicato dalla prima presidente di Artemisia: “Il vero modo di lavorare sulla paura e sull’insicurezza è quello di affrontare il problema da un punto di vista di genere: ciò implica che si debba trovare un equilibrio tra la crescita del potere delle donne e la rottura del potere degli uomini”.
“Riprendersi la vita” è dunque il documento di una fondatrice. Nicoletta fa parte di quel gruppo di personalità che nella seconda metà del secolo scorso anticiparono e promossero ciò che poteva fare avanzare la nostra democrazia dei diritti e delle libertà. Ciascuno nella sua sfera di competenza.
In particolare tutti, donne e uomini, dovrebbero leggere lo scritto numero dieci, “Dal dire al fare”, una lezione tenuta nel 1994 a un corso per documentariste, nel quale l’autrice paragona la storia delle donne all’ondata del Nilo che, quando si ritira, lascia il terreno fertile.
E’ una storia che dovrebbe fare parte integrante della formazione alla cittadinanza. Si racconta di come le donne hanno maturato le loro esperienze di lotta e testimonianza in sapere per “creare luoghi sociali femminili per trasformare la realtà data, in cui oggetto di trasformazione sono sia le donne coinvolte nel progetto sia la società” .
Pochi mesi dopo sarebbe nato il Centro Donne contro la violenza che dal 2017 è intitolato a Nicoletta Livi Bacci e a Catia Franci.