Scritte, graffiti e murales mandano in frantumi la “città di plastica”

Ci sono donne e uomini plastificati e anche città plastificate. Mentre per i primi si tratta di chirurgia estetica e generose iniezioni di botulino o altro, per le città il bisturi è rappresentato dalla “cancellazione”.

E’ diventata una vera e propria ossessione, e dunque una patologia. Più o meno collettiva. L’amministrazione comunale ne è campione, in primis con questa guerra contro scritte, graffiti, ecc. Un’operazione di decoro? In molti lo pensano. E tuttavia, ciò che si nasconde dietro i quintali di vernice che affannosamente talune associazioni, cittadini, politici, ecc. ecc, riversano su scritte, provocazioni, disegni, offese, ingiurie, immagini “contrarie alla pubblica decenza” assomigliano troppo a quei colpi di bisturi con cui mani pietose di chirurghi ben pagati tentano di mascherare la vecchiaia che giunge.

Perché la logica è la stessa: nascondere. Nascondere quelle frasi, quelle scritte, quegli scarabocchi, significa nascondere il senso di una città sotterranea che vive di una vita propria e turbinosa, che si esprime con colori, voci e segni scioccanti perché scioccante è la vita che conduce. E se non si può parlare a Firenze di ghetti, tuttavia ben si può leggere su quelle immagini spesso oniriche e angoscianti, spesso irriverenti e offensive, il senso di una ribellione forte e molto probabilmente inconscia e non voluta, che fa capolino nelle pieghe e nella coscienza della città più bella del mondo.

E’ la ricerca di voce. La città di plastica, la vetrina del Rinascimento si appoggia incubandolo proprio sopra al senso di malessere, generazionale, sociale, economico, che si rintana nelle sue viscere. Non è solo una questione fiorentina. Spesso murales, graffiti, disegni, offese, sono un grido belluino di una società che si disumanizza e che colpevolizza i perdenti. L’altra faccia dei salotti. Perdente, eppure sempre più ampia. Maggioritaria.

Non cadiamo nell’equivoco di pensare che tutte le scritte o i graffiti siano frutto di alti pensieri. No. Probabilmente, neanche uno. Ma dal momento che quasi sempre sono istintivi, dal mio punto di vista sono più significativi e più genuinamente “politici” di altri segnali. Perché è l’anima collettiva che si rivela, quella che nessuno vuol sentire. Che (quasi) tutti vogliono cancellare.

Perché rivela disagio. Disagio, e dunque, si cancelli. Anche i senza fissa dimora, i poveri, gli occupanti, i disperati e i perdenti, provocano disagio. E dunque, vernice bianca.

Tornando ai murales, alle offese e al pubblico decoro,  inutile mettere i guardiani a cancellare la voce, le voci, di questa strisciante e oscura ribellione contro tutto e tutti, perché è come l’idra mitologica, mozzi una testa e ne nascono sette. Forse è il caso di leggerle, almeno, le scritte, prima di cancellare. La scritta sul murales dedicato a Falcone e Borsellino, verso i quali dovremmo tutti metterci in ginocchio come si conviene davanti a martiri annunciati, “Né mafia, Né Stato, né Tribunali”, poteva anche provocare una risposta materna: “Ragazzo, questa che vuoi è l’Isola che non c’è”, dove non ci sono né santi, né eroi, e non c’è mai la guerra. Purtroppo, ragazzo (supponendo che sia un ragazzo, genere qualsiasi non importa …)  qui c’è la guerra. E servono Santi ed Eroi. E persino, ahinoi, i Tribunali.

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