Scosse emozionali

In fondo siamo tutti un po’ sismologi

Cristiano Cristiani

Se i tassisti e i barbieri governassero il Paese e allenassero la nazionale di calcio saremmo un popolo ricco e brulicante di bacheche con tanti trofei affastellati. L’Italia è il paese delle specializzazioni ad capocchiam, a volte conseguite affacciandosi ai balcani, a volte come onorificenza per una vita spesa a cantare canzonette o presentare quiz televisivi mentre orde di studenti si sudavano la laurea dovendo escogitare sistemi meno ortodossi, tipo studiare.

Così accade che durante i mondiali di calcio, il mio acconciatore, solitamente dedito a chiome diradate, si tramuti in un Nereo Rocco incompreso. A pochi giorni dalle elezioni, l’autista dell’autobus che prendo ogni mattina per dare un senso alla mobilità, assume toni gramsciani alternati ad una vaga inflessione tipica delle highlands di Arcore.

Ciò nondimeno, quando la nostra terra si risveglia e si stiracchia devastando il nostro piccolo mondo, si diventa tutti sismologi, geologi e, perché no, anche un po’ sensitivi e nostradamus.

Si comincia ad usare una terminologia tecnica con aria anche un po’ tronfia, nascondendo la ricerca dell’umano senso di sicurezza. I termini scientifici portano a corredo qualcosa di controllabile, di conosciuto. Qualcosa che è sì poco chiara, ma che ci fa sentire più difesi. Un bel vantaggio rispetto al semplice “moriremo tutti!”.

Se non fossi anche io in preda al conflitto tra la mia mente razionale e il mio stomaco che si ribalta come una citroen 2 cavalli del 75, sorriderei a ripensare al periodo di Luna Rossa e delle regate dell’American’s Cup. A quando persino mia sorella, forte di un’esperienza marinara di 4 ore di navigazione su un pattino di Pinarella di Cervia, mi diceva di strambare a dritta invece di girare a destra lungo Corso Buenos Aires a Milano.

È umano. E dobbiamo accettare il fatto che quando usiamo questo aggettivo, lo usiamo per giustificare qualcosa che non è proprio il massimo in termini di qualità o utilità. Per soprammercato, oltre ad essere umano è anche un po’ italiano. E su questo aggettivo, per ora, preferisco non indugiare, considerato che c’è bisogno di sostenerci e non di autocommiserarsi.

Bisogna anche cercare di capire chi si inerpica lungo previsioni catastrofiche, supportate da analisi di prestigiosissimi scemi del villaggio. In fondo prevedere il peggio è un ennesimo sistema di difesa.

La cosa davvero preoccupante, non è il proliferare di cassandre, ma la quasi certezza che anche questa volta, poco impareremo dal drammatico modificarsi delle nostre vite basate su pilastri di argilla. La mentalità dell’intoccabile giardino personale e della spasmodica ricerca di consolidamenti materiali su cui impostare la propria crescita e i propri desideri, dimostra oggi tutta la sua fragilità.

Sarebbe bello, in un momento così difficile, poter dire che da adesso in poi le cose cambieranno. Poter dire che le nostre abitazioni non verranno più costruite in modo che qualcuno ci possa guadagnare il più possibile, mentre un altro verrà fregato il più possibile. Poter vedere per sempre il nostro vicino di casa esattamente come lo vediamo oggi: un compagno di vita disposto a sostenerti e che vorremmo abbracciare forte per il solo fatto che condivide con noi questa tragedia. È bello pensare che fino a qualche settimana fa gli saremmo tranquillamente passati sopra con un caterpillar, sentendoci autorizzati dal volume del suo stereo. È brutto pensare che quando si tornerà alla vita fatta di lagne per problemi che ora consideriamo inezie, fatta di mogli che vedono il marito come un culo che spunta dal frigorifero e mariti che vedono le mogli come Equitalia, quel giorno sereno ma infausto, torneremo a non volerci abbracciare, se non per una rissa condominiale.

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