Firenze – Entro i prossimi tre anni l’Italia riuscirà a spendere fra il 60 e il 75% dei 220 miliardi del PNRR, circa i due terzi della quota di finanziamenti che le spettano. Nello stesso tempo riuscirà a impostare alcune riforme fondamentali: un po’ annacquate rispetto a quello di cui avrebbe bisogno, ma comunque una svolta rispetto all’incapacità di autoriformarsi dimostrata in questi anni.
Queste le previsioni della maggioranza dei 31 opinion leader (ministri, uomini politici, imprenditori, operatori economici e finanziari) intervistati dal giornalista e saggista Alan Friedman per un mini-sondaggio pubblicato nel suo ultimo libro “Il prezzo del futuro – Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo” (La nave di Teseo) .
“La parte americana di me stesso vede questa previsione tutto sommato come un fallimento, di fatto si sprecheranno 50 miliardi, ma la parte italiana dice: è un miracolo rispetto all’incapacità di spendere in fondi europei e le riforme annacquate sono comunque meglio di niente”. Così ha concluso la presentazione del libro nell’ambito dei Talk a Villa Bardini alla quale hanno partecipato il sindaco Dario Nardella, il senatore del Pd Andrea Marcucci. Tutti moderati dalla direttrice della Nazione Agnese Pini.
Il saggio di Friedman è una sorta di recensione critica dei rischi che corre il Paese di non cogliere un’opportunità quale si presenta “una volta in un secolo”, per modernizzare la sua economia, analizzando capitolo per capitolo il libro delle cose da fare in un contesto reso molto più difficile dalla crisi energetica e dalla conseguenze economiche dell’aggressione russa all’Ucraina. La transizione digitale (quella che appare con migliori prospettive), quella ecologica (“il tallone di Achille del PNRR, la più colpita dalla crisi dell’energia dai costi impazziti), la semplificazione burocratica, la giustizia.
Nel mettere il dito sui lati negativi e i limiti del Paese “una società che fa fatica da sempre a farsi nazione” e nel sottolinearne anche virtù e carattere, quello che conta “è che ci sia un tentativo, uno sforzo, in ultima analisi si può dire che quello che conta è il trend, la direzione che l’Italia ha preso, la velocità con cui si mostrerà capace e desiderosa di accettare il cambiamento inevitabile e necessario”.
Il pericolo che tutto si fermi è messo in evidenza da quanto sta accadendo in queste ore in Parlamento con la scissione all’interno del Movimento 5 Stelle, ennesima conferma della crescente instabilità politica all’interno della maggioranza che sostiene il governo Draghi, il leader grazie al quale “nel nuovo ordine mondiale che sta emergendo, l’Italia è all’avanguardia di quei paesi europei che proteggono la democrazia occidentale, contrapposta ai progetti revanscisti vagheggiati da un despota in Russia”.
Con queste premesse e con gli avvenimenti che incalzano era dunque inevitabile che il dibattito, sapientemente guidato da Agnese Pini, si incentrasse sull’instabilità generata da una classe politica che non sembra all’altezza di una fase cruciale. Ed era anche inevitabile che al centro delle critiche finisse il Movimento 5 Stelle. Se la parte americana di Friedman emerge nella grande capacità di analisi oggettiva di dati di fatto e testimonianze, la sua parte italiana ne ha alimentato una vis polemica senza mediazioni. I bersagli sono “i demagoghi e i populisti”, tra questi per primo Giuseppe Conte, visto come il simbolo dell’opportunismo politico da una parte e dell’incompetenza dall’altra, capo di un gruppo di “scappati di casa”.
Una polemica che ha spinto Marcucci e Nardella a sottolineare anche i risultati positivi dell’alleanza di governo con il M5S. Certamente “non si può fare dopo le elezioni del 2023 un accordo a scatola chiusa ma sulle cose da fare con un collante forte, con un’operazione verità per verificare criticità e opportunità”, ha detto il senatore del Pd. Mentre Nardella ha messo in evidenza la capacità di risposta dell’Italia di fronte alla pandemia, al punto che è stata un modello di fronte al quale gli altri paesi si sono divisi e Draghi “ha interpretato il lavoro impostato adeguatamente dal governo precedente”.
Certo è evidente la fragilità del sistema che può mettere in crisi la qualità della democrazia, ma quando l’Italia si trova con le spalle al muro trova sempre una soluzione, ha proseguito Nardella. C’è un prezzo da pagare. L’instabilità della classe politica porta a una crisi di fiducia da parte della gente e questa si evidenzia nell’astensione dal voto: “Il problema è dunque quello di creare un modello politico – istituzionale che garantisca stabilità, partendo da una legge che faccia governare per il tempo per cui ti hanno eletto, come quella che nel 1993 inserì la elezione diretta dei sindaci, riportando la politica nella sua funzione di interprete delle priorità del Paese”.
Secondo Friedman, infine, la guerra in Ucraina ha moltiplicato le difficoltà a Draghi che “è il più atlantista di tutti i primi ministri italiani degli ultimi anni, ma non va bene per una parte del Paese: il 40% dell’elettorato vota per candidati esplicitamente filo-putiniani e contro l’Europa”. E quando questa parte si lamenta delle conseguenze negative delle sanzioni, il giornalista americano ricorda che su 500 miliardi di export, quello diretto verso la Russia è circa l’1,2 per cento”.
Foto: Alan Friedman