Grosseto – Dopo aver perso la pazienza, Schettino si commuove. La nuova puntata del processo per il naufragio della Costa Concordia, che non a caso si tiene nel Teatro Moderno di Grosseto, sembra sempre più un dramma teatrale ben orchestrato.
Nella giornata di oggi, sabato 13 dicembre, il capitano Schettino è stato nuovamente interrogato di fronte alla corte maremmana. Ad un certo punto, ricordando le concitate fasi successive all’urto con lo scoglio delle Scole, ha abbassato lo sguardo e – con voce grave e velata di lacrime – ha spiegato che, in quei momenti così tragici, la scelta era tra morire o salire su una scialuppa. E Schettino, come tutti sanno, scelse la seconda strada. “Purtroppo ci furono persone rimaste incastrate nei terrazzini. Sono momenti indimenticati”, ha spiegato. “C’era tensione – ha proseguito l’ex capitano – perché era difficile sganciare la scialuppa”. Si stava in piedi a malapena, dato che la nave si stava iniziando ad inclinare.
Schettino ha anche ammesso, per la prima volta a dire il vero, di essere responsabile nel naufragio. “Sono pronto ad avere la mia quota di responsabilità”, ha dichiarato di fronte alla corte maremmana. Ma – ha precisato – si tratta di una “quota”. La sua colpa, secondo l’ex capitano, fu quella dell’imprudenza, l’imprudenza di deviare dalla rotta consueta. Certo, ha proseguito, quella rotta non sembrava pericolosa, dato che sembrava di poter tranquillamente navigare a mezzo miglio dalla costa.
Se la sua “quota” di responsabilità è indubbia, resta il fatto che, secondo Schettino, gran parte delle colpe restano dei suoi ufficiali di plancia. Il loro errore di valutazione fu “grave”, ha spiegato rispondendo alle domande del pubblico ministero Stefano Pizza. “Preferirono il morire al parlare”, ha sentanziato, in quanto nessuno spiegò lui che la rotta era pericolosa, quantunque ne avessero sentore. “Un ufficiale di bordo ha l’obbligo giuridico di manifestare un pericolo immediato, altrimenti tacere significa cagionarlo”, ha spiegato. Insomma: se c’era qualcosa che non andava, in plancia avrebbero dovuto informarlo. E, invece, tutti se ne stettero zitti mentre la nave puntava dritta sugli scogli.
E quando il pm ha chiesto per quale motivo gli stessi ufficiali abbiano dichiarato durante il processo che il capitano avrebbe dovuto dare prima l’allarme generale, Schettino ha ricordato che molti di loro vennero accompagnati al processo dai legali di Costa Crociere.
Mentre la nave si ribaltava su un lato, Schettino ha proseguito il suo racconto delle concitate fasi di quella tragica notte, non c’erano navi in soccorso. Le onde erano solcate solamente dalle scialuppe di salvataggio della Concordia. L’unica cosa che potè fare fu quella di chiamare la Capitaneria di Porto Santo Stefano per avvertire che la nave era in fase di naufragio.
Se non avesse virato verso il Giglio, d’altra parte, la tragedia sarebbe stata ancora peggiore. Schettino è tornato a sostenere di aver tentato una manovra di emergenza dopo aver visto la schiuma degli scogli delle Scole. “Con 30 secondo in più a disposizione, ma manovra riusciva”, ha proseguito l’ex capitano. Ma l’incantesimo svanì con il tremendo impatto ed il blackout. Comunque, dopo l’urto, secondo Schettino fu merito delle sue direttive se la nave non viaggiò verso il mare aperto, ma verso Giglio Porto. Qui, in acque più basse, potè adagiarsi di fianco e non affondare del tutto. E se questo fosse successo, avremmo probabilmente parlato di ben più di 32 vittime.
Schettino ha concluso il suo nuovo intervento al processo grossetano ricordando che, dopo il naufragio della Concordia, “sono cambiate le metodiche di comunicazione in plancia”. Dopo il Giglio è, infatti, stato adottato il “metodo think loud”, ossia il “pensare a voce alta”. Tutti rendono conto a tutti di quanto stanno facendo, così che tutti in plancia sono a conscenza delle manovre che si stanno effettuando. Segno, questo, che almeno qualcosa si è appreso dal tragico naufragio del Giglio.