Povero Bergoglio: stavolta gli è andata male.
Era riuscito ad inveire giustamente, a tuonare (nel suo modo flebile e tuttavia chiarissimo) contro grassatori, spacciatori, scafisti, sfruttatori dei bisognosi di lavoro, mafiosi, caporali, lavoro minorile e chi è bravo si ricorda contro cos’altro; ma contro i domatori di gattini e cagnolini del Web non ce l’ha fatta, e si è bruciato le mani.
Ma come, avranno detto costoro, il cui numero è ormai Legione: ti sei messo dalla parte dei poveri e degli oppressi, hai strizzato un occhio agli omosessuali senza timore che lo prendessero come un gancio, stai dalla parte dei lavoratori, sei l’alfiere della famiglia presa in tutte le sue possibili accezioni, e poi non vuoi lasciarci coccolare i cucciolotti come se fossero sangue del nostro sangue?
E giù legna; se nei precedenti passaggi Papa Francesco era riuscito a convincere i molti che la Chiesa, sì, stava davvero abbracciando il nuovo millennio e stava cambiando, con questa topica un esercito di zitelle e di padri putativi frustrati si è ora accorto con sbalordimento che la Santa Inquisizione, passata di moda ma in effetti mai sciolta (anzi; ora si chiama Congregazione per la Dottrina della Fede, ed è più tosta che mai) è già alle loro porte col fiato sul collo, pronta coi metaforici sacchetti per la pupù a far pulizia, morale, s’intende, laddove loro scambiano canidi per infanti. Detta così sembra una rivisitazione della sceneggiatura de “La maledizione di Damien”, dove scoprono che il bambino troppo bravo a scuola in realtà ha sangue di sciacallo ed è figlio del demonio (la situazione in cui versa la scuola italiana ci mette senz’altro al riparo da questo terribile rischio, perlomeno); in realtà, c’è poco da scherzare.

A memoria d’uomo, non si sono mai sentite volare tante offese a un Pontefice; neppure Pio XII, coi suoi silenzi (e alcuni interventi mica tanto silenziosi) riguardo alla discretamente tosta questione dell’Olocausto s’era mai attirato tanti strali, neppure Wojtyla all’indomani della caduta del Muro dai vetero oligarchi post superpotenza sovietica. Scherza coi fanti, scherza coi santi, curati degli infanti, ma non toccare i pets. Chi, cattolico o simpatizzante, fosse entrato sui social nelle ultime due settimane sarebbe rimasto coi capelli dritti nel vedere come da una sostanziale posizione di simpatia – frutto di un intenso lavoro di comunicazione, tra i migliori dell’ultimo secolo – Papa Bergoglio fosse stato fatto oggetto ad insulti anche pesanti e piuttosto frequenti e corposi; dagli amatori di Facebook vagamente in odor di grammatica, così come dai blogger più scafati e anche da giornalisti, o sedicenti tali (purtroppo il confine si fa sempre più labile, man mano che ci si addentra nella Terra di Nessuno).
Diciamo la verità: a molti, la possibilità di intervenire col proprio pensiero e fare in modo che altri ne possano essere messi al corrente ha provocato una severa ubriacatura, e oggi più che esprimersi, come gli ubriachi, appunto farfugliano confusamente, quando addirittura non rigettano; c’è chi regge male l’alcol, chi la libertà di espressione, facendo figuracce di cui poi, al risveglio, potrebbe pentirsi. In questo caso, tuttavia, il risveglio è probabilmente ben lontano, e la figuraccia sociale è pertanto piuttosto diluita, sia nel tempo che nel mare magnum delle inutili comunicazione internettiane. Non abbiamo avuto il modo di interessarci alle repliche del Pontefice che, siamo certi, ci saranno state, quanto meno in termini di chiarimento.
Per la verità, le sue affermazioni ci sembravano del tutto chiare: “Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti ai cani che poi lascia sola e affamata la vicina” è, con ogni evidenza, non già un invito a liberarsi delle care bestiole o a farle al forno, dove stazionavano non più di qualche decennio fa (quante volte chiedendo in montagna il capriolo il gestore furbescamente non ci avrà accontentati in maniera a dir poco “creativa”?), quanto un invito ad estendere un sentimento di amore ed un istinto di accadimento anche al nostro prossimo, oltre che agli animali. Animali sui quali, nel corso degli ultimi periodi, la Chiesa si è sempre espressa in maniera molto positiva, arrivando finanche al punto di affermare ufficialmente che verranno con noi in Paradiso, possedendo a tutti gli effetti un’anima immortale; per chi è addentro alla questione, un bel salto in avanti, dagli instrumentum semivocalis che erano nella Roma antica e per tutto il Medioevo sino ai nostri tempi.
Eppure, è evidente che Bergoglio ed il suo ufficio stampa non hanno fatto bene i compiti nel cercare di comprendere le motivazioni e le abitudini degli italiani di oggi: prima con l’esortazione a non barattare l’amore per i figli con quello per gli animali domestici, per comodità e leggerezza, lo scorso anno, ed ora questo. Non si fa, non si fa. Può darsi che a Gesù non piaccia chi, avvolto nella cultura del benessere, preferisca la libertà di avere cani e gatti da poter chiudere nel tinello quando c’è da fornicare all’avere figli da accudire con impegno, figli che poi una volta grandi ti metteranno pure di fronte ai tuoi errori (quale cane lo farà mai, dopotutto?); ma agli italiani piace, eccome. Oppure: non piace, perché magari si tratta di un ripiego vista l’incapacità di formare coppie, famiglie, generatività e quant’altro, di fronte ad una società dai tempi sempre più proibitivi e dalle solitudini sempre più opprimenti, e quindi a maggior ragione va lasciato stare. Perché ormai è ovvio che i figli, lungi dall’essere solo piezz’e core, possono anche essere prodotti del nostro immaginario al pari della casa al mare e della barchetta, status symbol grazie ai quali confrontarsi con gli altri e con le proprie direttive dell’orologio biologico che ticchetta in maniera sempre più strampalata, da quando abbiamo messo su gli orologi al quarzo.
Papa Bergoglio evidentemente non ha colto (oppure, ha colto benissimo) il segnale insito nella trasformazione dei tanti supermercati di prodotti per l’infanzia in supermercati di prodotti per animali domestici, non ha colto l’impossibilità e la voglia frustrata che si tramuta in rabbia pronta a sfogarsi fuor di contesto e senza logica, nel suo mestiere di difensore dell’idea di famiglia propriamente detta (dopotutto, egli ha un ruolo ben preciso: a ciascuno il suo mestiere). Agli italiani, caro Bergoglio, della vicina di casa, non frega niente; oppure frega, ma in maniera che le cronache, e le esaltazioni vendicatrici dei commenti agli articoli della nera, chiariscono bene quanto a segno e virulenza, non già per prendersene cura. E così – peccato! – una ottima esternazione è andata sprecata. Perché l’ammonimento del Papa non voleva essere contro l’amore per gli animali, anzi, al contrario. Voleva essere contro l’ipocrisia. Ma contro quella, e lo sapeva pure il Cristo, c’è poco da fare.