L’assessora a Cultura, Marketing territoriale e Pari opportunità di Reggio Emilia Annalisa Rabitti si è espressa in queste ore, all’uscita dall’ultimo Dpcm del Governo che richiude cinema e teatri, con una severa presa di posizione contraria al provvedimento. L’abbiamo incontrata.
Signora Rabitti l’ultimo decreto sta causando reazioni molto forti da parte degli ambienti artistico-culturali italiani…
In tutti questi mesi i luoghi della cultura hanno fatto uno sforzo enorme per rendersi sicuri, con grandi sacrifici e senso della disciplina, curando distanziamento, misurazione della temperatura, facendo autocertificare il pubblico con conseguenti lunghe file agli ingressi. Un mondo intero di operatori e artisti si è attivato in modo encomiabile, come è accaduto anche nelle biblioteche e negli altri luoghi di cultura. Ciò non si può dire si sia verificato ovunque in altri ambiti e di questo dobbiamo dare merito al settore degli eventi culturali.
Con ottimi risultati pare…
Praticamente non ci sono sono stati contagi derivanti dalla frequentazione di cinema e teatri, come di fatto vediamo quanto siano bassi anche nelle scuole. Il problema non è qui. Se perciò nel momento in cui chiudiamo penalizziamo i luoghi e i oggetti più virtuosi, non stiamo affrontando correttamente quel problema.
È una critica di carattere tecnico al provvedimento?
Io rilevo un problema politico: se aggrediamo in questo modo la cultura e pretendiamo un 75% di didattica a distanza nelle scuole, pare vogliamo attuare un tentativo di derubricare questi ambiti a ruoli di secondaria importanza nella società. Dovevamo proteggerli. Le conseguenze della pandemia sono ampie, complesse, profonde e a mio parere rischiamo un impoverimento del pensiero, delle relazioni, di creare una generazione di ragazzi disinteressati alle cose che stanno tutto il giorno su internet (e le rilevazioni statistiche segnalano che sta già accadendo).
Lei contesta quindi una visione stessa della società che animerebbe lo spirito dell’azione del Governo?
Quale messaggio trasmettiamo? Se in una casa i genitori escono alla mattina per andare a lavorare, i figli se ne restano tutto il giorno davanti a un monitor? Chi ne seguirà la formazione, la maturazione? Inoltre, a pagare di più saranno i soggetti più fragili, i ragazzi con delle disabilità, con difficoltà di socializzazione; si allargherà ancora di più la forbice per loro, perché non saranno seguiti in modo consono. Che criterio stiamo applicando “chi ce la fa bene, chi non ce la fa pazienza?”. Tutto ciò è molto grave. In democrazia la scuola deve dare pari opportunità a tutti, ai più deboli compresi. La Dat al 75% non è la risposta giusta a queste esigenze.
I due scenari, attività artistico-culturali dal vivo e crescita civile della comunità sono legati per lei?
Se in questo momento noi non diamo spazio agli artisti, allo spettacolo di qualità a tutto quel mondo culturale che è, non si dimentichi, anche lavoro, sostentamento per migliaia di persone, sottraiamo ai giovani e alle comunità il contributo dei migliori, di coloro che ce l’hanno fatta in un mestiere difficilissimo da fare in Italia, eccellendo perché hanno qualcosa di importantissimo e fondante da trasmettere ed esprimere.
Con questo provvedimento che colpisce un settore già messo in ginocchio dai mesi precedenti, abbiamo posto la cultura e l’arte sullo stesso piano dell’intrattenimento, del tempo libero. La cultura non è intrattenimento, è cibo per l’anima. Dobbiamo cercare soluzioni diverse, anticipiamo gli orari, ragioniamo in modo analitico sulle modalità per preservare i criteri di sicurezza, ma non chiudiamo.
A maggior ragione se guardiamo la quasi assenza di contagi in quei contesti…
Mi sembra paradossale che in una situazione di chiusura parziale, si chiudano per primi i posti più sicuri che abbiamo. Mi spaventa questa visione di una società dove l’arte, la cultura, la scuola sono relegate con facilità a una specie di ruolo accessorio per la vita delle persone. Non siamo evidentemente fra le priorità del Governo e a questo punto non possiamo tacere.
Quali conseguenze ci sono in concreto?
Negli assessorati non possiamo più programmare nulla. A Reggio abbiamo per fortuna ancora aperta la mostra “True Vision” a Palazzo Magnani, ma per esempio dovrei aprirne una molto bella di Olimpia Zagnoli ai Chiostri di San Pietro a novembre e stiamo navigando a vista. Sabato dovremmo inaugurare gli spazi restaurati della “Panizzi”, ma non sappiamo se si farà.
Avremmo un progetto contro la violenza sulle donne, un film al Rosebud che poi dovrebbe passare ai musei come installazione, ma a questo punto non credo potremo farlo. E Reggio narra? Fotografia europea? Parliamo di relazioni internazionali, sopralluoghi per avere le opere, contatti con i media anticipati per avere visibilità. Non sono cose che prepari dall’oggi al domani. Lavorare così è impossibile. Non sappiamo se potremo tenere aperte le mostre, anche se contingentate nei flussi di visitatori. E se è difficile per noi, immagini tutti i privati che lavorano nel mondo della cultura.
Mi auguro poi che non chiudano le biblioteche, dopo i lavori di adeguamento alla sicurezza che hanno messo in campo in questi mesi; con l’importante ruolo di supporto che svolgono per l’educazione anche dei giovani. A maggior ragione se ci saranno limitazioni ulteriori al movimento delle persone.
La sua posizione è quindi critica…
Naturalmente è chiaro che io nel mio ruolo istituzionale mi atterrò scrupolosamente alle indicazioni del Governo, non mi metterò a manifestare scompostamente nelle piazze. Dopo che ho espresso la mia opinione, devo fare del mio meglio per rispettare ciò che il decreto ci dice, come abbiamo sempre fatto dal primo giorno di questa crisi, ma dico con forza che non sono d’accordo e cercheremo all’interno dei modi istituzionali di fare sentire la nostra voce. Questa è una resa culturale inaccettabile in un Paese come l’Italia, per ciò che siamo stati e dovremmo reimparare a essere.
Cosa farete?
Questo è innegabilmente un momento molto difficile, ma non possiamo aspettarci le risposte ai nostri problemi solo dai medici, da un mero tecnicismo della scienza. Dobbiamo elaborare delle risposte complesse sulla base del contributo di altri apporti del sapere. L’esperienza dal vivo dell’arte è fondamentale, non è surrogabile, ha un suo specifico e una sua unicità ogni volta che ha luogo. Le esperienze collettive in presenza non sono riducibili a qualcosa di banale in conseguenza di una concezione razionalistica e arida.
Dobbiamo anche considerare la gravità della situazione economica in cui già versava questo settore e le conseguenze di questa ennesima chiusura. Molti potrebbero non risollevarsi mai più.
Il Collettivo nazionale degli assessori alla cultura – la maggior parte dei quali ha questa posizione – a già inviato una lettera al ministro Franceschini.
Ci stiamo muovendo. Anche come città capoluogo abbiamo firmato un appello regionale con l’assessore di Bologna Matteo Lepore, nel quale definiamo il provvedimento “… un massacro per cinema e sale concerti che colpisce il settore produttivo italiano che più di ogni altro ha saputo adottare misure efficaci e responsabili e in questa luce la chiusura ci appare ingiustificata. È stato profuso uno straordinario impegno per riaprire i teatri e i cinema e questo provvedimento porterà effetti economici e morali disastrosi in un settore già provato”. Chiediamo al Governo di tornare sulle proprie decisioni e si tratta di un documento trasversale agli schieramenti politici. Cito anche una petizione che ho firmato e che si chiama “Vissi d’arte” promossa da Paolo Verri di Matera capitale della cultura: ieri sera, in un solo giorno, aveva già raccolto 71.026 firme.