Firenze – Sembrano controversie filosofiche lontane e astratte, qualcosa che appartiene al Novecento secolo che ormai si sta allontanando dal nostro, entrato negli anni venti. Eppure il dibattito a distanza sull’esistenzialismo fra Jean Paul Sartre e Martin Heidegger è tornato nelle riflessioni dell’uomo del presente.
A riproporlo è stato, fra gli altri, l’Istituto Gramsci Toscano che ha invitato a parlarne (introdotto da Vittoria Franco), davanti a una attenta platea in presenza e in collegamento in diretta streaming, il filosofo Sergio Givone, già docente di Filosofia estetica all’Università di Firenze, saggista e scrittore fra i più letti e ascoltati, autore fra l’altro di libri come “Storia del nulla” (1995), Favola delle cose ultime (1998), Non c’è più tempo (2008) e Metafisica della peste. Colpa e destino (2012).
“Sartre vs Heidegger” non è un titolo dal sapore di accademia filosofica o pugilistica che sia, ma uno di quei nodi dialettici fondamentali nella storia del pensiero occidentale, perché resta ancora oggi lo spartiacque fra la possibilità dell’umanità di ritrovare un suo percorso positivo e pacificato e quella di continuare a scendere in un precipizio segnato da catastrofi per lo più auto-provocate, da crisi economiche, dalla guerra in Europa che riporta in primo piano il rischio nucleare, dagli effetti del riscaldamento globale, da quelli della pandemia.
E’ possibile fermarsi finché si è in tempo, trovando un nuovo pensiero guida che ricollochi l’uomo nella sua realtà empirica e di relazione in modo da essere motore di vita e di intelligenza creatrice e non il cieco distruttore, incapace di controllare le tecnologie che ha sviluppato nella errata fede in una crescita senza fine?
La riflessione parte dalla conferenza – saggio L’esistenzialismo è un umanismo che Jean Paul Sartre tenne nel 1945, due anni dopo il suo primo importante trattato filosofico, L’essere e il nulla . Fu un evento culturale di prima grandezza con una partecipazione così numerosa ed entusiasta che è rimasta negli annali grazie al racconto colorato di un cronista di lusso che vi prese parte, Boris Vian.
A questa conferenza era presente anche Jean Beaufret, professore di filosofia amico e discepolo di Martin Heidegger che inviò al maestro una missiva nella quale riassumeva le tesi di Sartre e con la quale sollecitava un giudizio e una risposta di fronte ad alcuni aspetti teorici che non lo avevano troppo convinto: “Come dare un nuovo senso alla parola “Humanisme”?
In estrema sintesi le tesi di Sartre sono queste. L’uomo è condannato alla libertà. E’ una condanna perché di fronte a lui non c’è che il nulla. L’esistenza precede l’essenza, perché l’uomo non ha un’essenza, non ha una natura, non è definito,ma si autodetermina, dà a se stesso la natura che vuole, non ha bisogno di giustificazione.
Il filosofo tedesco gli rispose indirettamente, come un professore il cui allievo non ha del tutto compreso la sua lezione, in uno scritto che prenderà il titolo Lettera sull’Umanismo. Secondo Heidegger, nella sua versione dell’esistenzialismo Sartre non faceva altro che rovesciare le categorie della tradizione aristotelica e tomistica, restando però nello stesso ambito metafisico. Era stato San Tommaso d’Aquino a definire per la prima volta il concetto di esistenza che viene prima rispetto all’essere, perché è un doppio atto di libertà che riguarda Dio e l’uomo. L’esistenzialismo di Sartre dunque era tutt’altro che innovativo, solo l’ultimo erede di una tradizione metafisica. E senza sapere di esserlo.
Heidegger si pone, viceversa, al di fuori della tradizione metafisica. Il primato dell’ente-uomo sta nel fatto che esso è un essere che “esiste” “qui ed ora”, cioè è un “esserci” che ha la possibilità di interrogare se stesso e di scoprire da sé il senso della propria esistenza. Tuttavia, la vita quotidiana non è che angoscia, esperienza del nulla. Mentre la vita autentica vuol dire estraniarsi dal mondo. Stare in ascolto dell’essenza, questa l’unica sua via di scampo. La libertà è il suo proprio “evento” che chiama in causa l’essere.
Nella condizione umana, per Sartre, il rapporto esistenziale con l’essere viene inteso come un’azione di scelta. Il fatto di essere nel mondo, per l’uomo è qualcosa di assurdo, che non ha spiegazioni al di là del fatto di esistere. Gli scopi e i fini sorgono unicamente con l’uomo, che dà senso a ciò che in sé non ha senso, “non ha altro legislatore che se stesso”. In questo modo, con la scelta (qualunque essa sia) e l’azione supera la sua finitezza.
Nella diversità dell’impostazione, c’è alla fine qualcosa che unifica i due pensatori, che recuperano una categoria della dottrina cattolica, l’inferno: l’enfer c’est les autres, l’inferno sono gli altri , dice Sartre perché ostacolano l’appropriazione della libertà del singolo e dunque l’uomo vive in costante conflitto. Mentre per Heidegger l’inferno sono i campi dello sfruttamento e della disumanità, in generale la modernità. La modernità è il disumano.
Il video della conferenza di Givone
Foto: Simone De Beauvoir e Jean Paul Sartre