Sapevamo già tutto. Si sapeva già tutto della mafia, si conosceva la sua natura pervasiva e camaleontica, la sua forza di insinuazione nella società. C’era stata la relazioni Sangiorgi a cavallo fra ‘800 e ‘900, le risultanze del generale Dalla Chiesa nel 1971. Ma nessuno le considerò come dovevano essere comprese e considerate. poi vennero Falcone e Borsellino, il pentito Buscetta,e così andando, fino alla guerra civile di Riina, alla svolta di Provenzano e infine alla cattura di Matteo Messina Denaro. Ma la mafia, il suo volto reale, fu chiaro da subito.
E’ il libro del generale dei Carabineri Giuseppe Governale a raccontarlo, con dovizia di richiami storici, di analisi del presente, con lo scorrere dei fatti. E “Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima”, è il titolo del libro che Governale ha scritto e sta presentando nelle tappe di un viaggio iniziato a Palermo, che lunedì 13 novembre si è fermato a Firenze, in un’aula della Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri, incontro organizzato dalla Scuola stessa e dalla Fondazione Fratelli Rosselli. Il generale Governale è stato capo del Ros e fino al 2020 ha diretto la Direzione investigativa antimafia. Il libro è, edito da Solferino. Ricco il parterre degli interventi, che hanno visto alternarsi il presidente della Fondazione Rosselli Valdo Spini, il Presidente della Scuola di Scienze Politiche Carlo Sorrentino, Graziana Corica Università degli Studi di Firenze, Vittorio Mete Università degli Studi di Firenze, il giornalista di RAI Tgr Toscana Valter Rizzo, Vincenzo Scalia, Università degli Studi di Firenze. Presenti all’incontro, il comandante della Scuola Marescialli CC , Generale div. Pietro Oresta e il decano dei docenti universitari della Scuola Marescialli CC, professor Antonio Bellizzi di San Lorenzo.
E quindi, cosa sapevamo? Intanto che la mafia non è solo organizzazione militare sul territorio. Sembra poco e invece è moltissimo. Ne parlava già la Relazione di Ermanno Sangiorgi, questore romagnolo che era stato inviato sul territorio dal capo del governo Luigi Pelloux per combattere la corruzione. Sangiorgi produsse un Rapporto vero e proprio di 489 pagine, in cui, partendo da un’indagine d’omicidio, si annota minuziosamente la composizione sociale della mafia, la sua ramificazione nel territorio, i rapporti con la classe politica e le famiglie illustri del tempo, le complicità istituzionali di cui godeva, la sua organizzazione militare. Una vera e propria bomba mai esplosa, con tanto di “pentito” illustre che, quando nel 1901 fu esperito il processo, ritrattò, come molti dei testimoni più illustri, tranne Giuseppina Di Sano, cui gli uomini d’onore avevano uccisa la figlia diciottenne. Prosciolti per la maggior parte gli imputati, era il primo passo pubblico di una vicenda che doveva ripetersi molte volte nel corso della storia, fino alle tragedie e alla sfida allo Stato dei nostri giorni.
Sulla questione mafiosa si intreccia senz’altro la questione meridionale, di cui per tanto tempo, il Nord, il Settentrione, non ha voluto sapere. “Parliamo di un fenomeno del quale il Settentrione si può pure disinteressare – inizia il suo intervento il genrale Governale – ma, citando Galli della Loggia nel 2019, il Settentrione si può disinteressare del Meridione, ma è il Meridione che non si disinteressa del Settentrione”. E dunque, cosa significa per tutto il Paese questa apparente calma, questa superficie piatta in cui sembriamo pimbati, dopo la guerra degli anni ’90? “Le oganizzazioni mafiose, un cancro, sono in difficoltà? Sono in difficoltà perché non sparano? – dice Governale – certo, qualche difficoltà la registrano, soprattutto Cosa Nostra, che tanti anni fa spadroneggiava nel mondo e ora per fare arrivare 100 chili di cocaina a Palermo lo deve dire alla ‘ndrangheta. Una ‘ndrangheta che è una delle organizzazioni più potenti al mondo, di cui mai s’è parlato e poco se ne parla, nel disinteresse generale. Le notizie sono riportate solo sui giornali calabresi, quando sono riportate. E c’è anche una camorra sempre effervescente, certamente una piaga delle aree partenopee”.
Le cosche ci sono e sono vispe. Sul perché scrivere un libro, “partii dal presupposto di fare capire alla gente comune di cosa si sta parlando” dice il generale. E per fare questo, si parte dal contesto, dallo scenario, da un quartiere povero e degradato di Palermo, quello dove nasce Governale, dove i ragazzi “non peggiori di me, sono diventati uomini d’onore”. Il punto è “la sensibilità, capire come i siciliani vedono la mafia. E’ stata una scelta, la mia, di occuparmi esclusivamente della mafia siciliana “, anche per evitare un testo alluvionale e, alla fine, difficilmente leggibile.
A differenza di quanto alcuni ritengono, l’opera di Governale non è un libro storico, tutt’altro. Basta scorrere i titoli dei capitoli: Il maledetto problema del vivaio, La mafia del mouse al tempo del covid, La necessità della cooperazione internazionale, La mafia dei rifiuti…. sono i titoli della nostra qutodianità, delle crisi del nostro tempo.
Per battere la mafia, continua Governale, il modo c’è. Ad esempio, tenere a mente l’art. 3 della Costituzione. Ricordarsi perciò che tutti i cittadini sono uguali, “e non che per il cittadino di Bergamo un diritto è un diritto e a Palermo un diritto è un favore”. Perciò, “ho cercato di capire cosa pensa della mafia un siciliano” , mettendo insieme “cosa mi disse mia madre “Togliti dalla finestra, quelle sono cose che non ci riguardano”, e quello che disse il capo di gabinetto di una Prefettura importante come quella di Milano, con una metafora che significava che nel Meridione chi viene prima “sono io e la mia famiglia” il resto non interessa.
Il punto di riferimento obbligato, lo Stato, rappresenta qualcosa di cui non ti devi fidare. “Questo è il paradigma comportamentale che vive inSicilia: lo Stato è nemico”. Se c’è bisogno di qualcosa, allora, ci sono “loro”, che hanno cercato di colmare i vuoti dell’assenza dello Stato. “Un’assenza dello Stato che è una critica che non è evidentemente rivolta solo dello Stato italiano, bensì allo Stato borbonco e anche spagnolo”. Per afferrare il senso di questo vuoto persistente nei secoli, “bisogna capire cos’erano i bravi di Manzoni – dice Governale – . I bravi di Manzoni erano esempi di protomafia, che poi non si sviluppò, per esempio, perché a Milano nel ‘600 fu fatto il catasto, ovvero le terre furono divise e intervenne il riferimento a uno Stato che dava delle normative e linee di riferimento, a cominciare da quello austriaco”. Trecento anni dopo, nel 1950, “la questione delle terre in Sicilia doveva ancora essere risolta in un quadro in cui gli aristocratici si servivano di persone vicine alla mafia, per mantenere l’ordine”. Tant’è vero che una delle prassi che i “cultori della materia” utilizzano è “arrivare all’ordine con le forze del disordine”.
Quando arrivò in Sicilia Giuseppe Garibaldi, venne accolto con grande calore popolare, poiché rappresentava l’esempio vivente che le cose potevano cambiare. Ma le cose non cambiarono. E “lo scetticismo e la disillusione, nel popolo italiano e ancor più in quello meridionale, si andarono stratificando, generazione dopo generazione, per cui l’obiettivo dev’essere, è, distruggere lo scetticimo”.
E come farlo, ponendo davanti il fatto che si tratta di uno scetticismo strutturato e, permettiamocelo, anche ben motivato? “Lo facciamo – dice Governale se abbiamo chiara la visione. Ma la visione è chiara? La visione senza azione è sogno, ma l’azione senza la visione, cos’è? Come dicono i giapponesi, incubo. Non a caso il presidente del consiglio Draghi nel 2021 disse che le risorse del PNRR dovevano essere impiegate tutte bene e onestamente. Ma per fare questo abbiamo bisogno di una classe dirigente che ha il culto della responsabilità”.
Classe dirigente formata e responsabile che è concetto centrale anche nella sua versione dark, ovvero, le classi dirigenti delle mafie. Un tema in cui è regina la ‘ndrangheta, che si è dotata di una classe dirigente estremamente credibile, “che dà ordini e i cui ordini sono eseguiti. Lo sanno gli appartenenti alla ‘ndrangheta ma anche tutti coloro che sono vicini a questa realtà, a cominciare dai calabresi ovviamente. perché se è vero che tutti i calabresi non sono ‘ndranghetisti è altrettanto vero che tutti gli ‘ndranghetisti sono calabresi. Si tratta di un modello efficiente, organizzato secondo quello che Santi Romano, un giurista palermitano del 1910 diceva, “esistono e possono formarsi nello Stato sottosistemi giuridici con proprie regole e con proprie architetture…”. Certamente non si tratta di regole scritte, tenuto conto che si parla di associazioni segrete. “Chi sbaglia paga. E il popolo ha capito che quando la mafia diceva una cosa, si potva dubitare sulla prestezza ma non sulla determinazione. Invece purtroppo quando lo Stato atabilisce qualcosa, poi, si verifica? …”.
Il nodo dell’assenza dello Stato, della profondità dei vuoti, della debolezza della legalità intesa non solo come regole ma regole rispettate e che sono fatte ripettare, è enorme e tragico. “A me che sono cittadino di Campobello di Mazara, per quale motivo devo andare alla stazione dei carabinieri per raccontare che ho visto qualcuno che mi pare assomigli a Matteo Messina Denaro, cosa me ne viene? Secondo quella mentalità, cosa ottengo? Se tutto va bene non succede nulla; e, se Dio non voglia, poi mi succede qualcosa?”. Il motivo di tutto ciò, quello fondante, è “che non è sviluppata la cultura della generosità, della partecipazione civica”.
“Ho cercato di scrivere queste cose descrivendo un mondo, innanzitutto – dice ancora Governale – perché se non conosciamo il mondo che si oppone a noi, dal momento che siamo davanti a un conflitto asimmetrico, come l’assoluta maggioranza di tutti i conflitti moderni”, non possiamo neppure entrare in partita. “E’ finito il mondo in cui entravano in battaglia gli eserciti nazionali, preannunciati dalle fanfare”, si potrebbe dire per dare il via ordinatamente alla carneficina. “Certamente, il conflitto fra Stato e organizzazioni mafiose è da sempre una guerra asimmetrica- spiega ancora il generale – con lo Sato quasi sempre in svantaggio”.
I riflettori accesi su Palermo hanno consentito di far crescere le organizzazioni antimafiose, “che poi diciamocelo pure, hanno perso tanta spinta propulsiva. Ma ciò che ho cercato di mettere in evidenza soprattutto, è il soft power”, di cui sono dotati, un termine inglese che sottintende che i mafiosi “hanno fame”. Di cosa? Di potere. E il potere continua ad esserci, anche oggi che le organizzazioni mafiose hanno cambiato il loro modo di porgersi”.
Le mafie “si adattano sempre – continua Governale – per questo nel libro ho sostituito la parola piovra con camaleonte, perché è l’animale che si adatta all’ambiente. “Quando sei ferro, statte, quando sei martello batte”, il vecchio detto siciliano, dice il Generale, s’attaglia perfettamente alla filosofia delle cosche: “Quando sei incudine è il momento dell’attesa, e nella questione del Pnrr rivedo Totò che in Miseria e Nobiltà si mette il fazzoletto e in cucina dice: “Questo è il mio posto da combattimento … starò qui due anni a mangiare”, preso a simbolo degli appetiti delle cosche. E lo Stato cosa ha a disposizione?
“I mafiosi hanno fame di potere e di soldi. I funzionari dello Stato hanno fame di giustizia? – continua il generale – sennò la guerra è sempre asimmetrica”. Ciò che conta infatti, per far pendere la bilancia dall parte dello Stato e non della mafia, è questa capacità etica, morale, di guardare con senso e occhio di giustizia alle cause, anche al di là della professionalità, che in sè è importante, ma solo se declinata sulla nota della Giustizia. Tant’è vero che la lotta che si prepara o che è già in corso, è una lotta dove le competenze sono importanti, ma saranno almeno alla pari, se non squilibrate, a favore dei rampolli delle cosche. Su questo piano, sembra di capire che la ‘ndrangheta è già molto avanti: “Quelli della ‘ndrangheta – dice Governale – stanno facendo preparare i loro figli a Yale, Cambridge, Oxford, figli che diventano manager di peso. Stiamo assistendo a mafiosi che si stanno professionalizzando, ma anche all’inverso, professionisti che si stanno mafiosizzando”. Il punto è che le aziende del Nord ma anche del Centro nord sono in difficoltà.
Come si contrasta, dentro la società, questo mondo “inverso”, è un altro punto importante. Intnto, il Generale mette sotto la lente l’approccio dei mass media, che, ormai perlopiù digitalizzati, non si curano delle “cose mafiose”, non ritenendole degne di attenzione in maniera miope, non accorgendosi che la marea sta andando avanti. Nel 2019 l’operazione di ‘ndrangheta in Val d’Aosta, nel 2022 in Veneto, “procedendo dove il Pil cresce, dove la legislazione anitmafia non è forte, dove c’è possibilità di corruzione. Non abbiamo segnali di arretramento della mafia. Anzi”.
Le altre due dighe al “mondo inverso” delle mafie sono da un lato la scuola e dall’altro la chiesa. Sulla scuola, meno nozionismo e più capacità di riflessione e introiezione dei valori del vivere civile, dall’assenza di violenza alla partecipazione civica; per la Chiesa, si passa dalla famosa reazione del Cardinale Pappalardo ai funerali del generale Dalla Chiesa (Dum Roma consulitur, Saguntum expugnatur) riferendosi a Palermo indifesa sotto le zanne della mafia, o dalla memoria di don Pino Puglisi ucciso col sorriso sulla labbra (particolare rivelato dal suo stesso assassino) a quella della richiesta di favori agli uomini delle cosche.
“Un album – dice il Generale Governale parlando del suo libro – con delle fotografie scattate per dare un quadro d’insieme. che, letto e interpretato bene, possa dare le chiavi di lettura per sfruttare un successo che c’è stato. Lo Stato se fatto da persone affidabili, dal momento che la cultura è importante, la professionalità è importante, ma l’affidabilità è essenziale, allora ecco che il cittadino medio riesce ad essere coinvolto in questa operazione; che è quella di un carretto – conclude Governale – che per troppo tempo è stato impantanato nel fango. Occorre che qualcuno lo pigli e lo porti a qualche parte, se possibile nella direzione e nel verso giusto”. .