Santa Sofia moschea, scelta politica e non religiosa

Firenze – “Penso a Santa Sofia, sono molto addolorato”. Con queste parole papa Francesco ha rotto il silenzio del Vaticano sulla questione della nuova destinazione d’uso per l’ex basilica sul Bosforo. Condannando apertamente la scelta del premier turco Erdogan di riconvertire l’attuale museo nazionale in moschea. Poche ore dopo il giudizio del pontefice anche il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo ha espresso la sua opinione in merito: “Credo che la decisione della Turchia di riconvertire Santa Sofia in moschea vada letta più in modo politico che religioso”.

La riconversione di uno dei monumenti più famosi del Paese in moschea è l’atto culminante di una campagna di propaganda iniziata ormai una decade fa dal leader, e fondatore, del partito AKP. Con questa mossa il presidente Erdogan oscura le politiche laiche introdotte dal padre della patria Ataturk, travolge i simboli della cristianità e guarda con aspirazione ad imporre la propria guida, spirituale e politica, sull’intero mondo arabo: “sulle orme della volontà dei musulmani di uscire dall’interregno”, ha chiosato nel messaggio alla nazione. Lo splendido edificio di Santa Sofia ha avuto due vite e mezzo: è stata basilica cristiana, moschea islamica e, a questo punto, transitoriamente museo. Probabilmente voluta Costantino, realizzata da Giustiniano, lì furono incoronati gli imperatori cristiani di Bisanzio. Fino al sopraggiungere dell’ottomano Mehmet II, che riuscì in un’impresa fallita per secoli agli eserciti della mezza luna: far breccia nelle possenti mura a difesa di Costantinopoli. Il 28 maggio 1453 a poche ore dall’assalto finale dei giannizzeri in quella mastodontica chiesa, cattolici e ortodossi, mettendo da parte le contrapposizioni scismatiche, celebrarono insieme messa. Il 29 maggio il sultano Mehmet, il Conquistatore, avrebbe compiuto un gesto pieno di significato, entrato trionfante nella Basilica rivolse la preghiera verso la Mecca, prendendo formalmente possesso dell’edificio, proclamandola moschea. A differenza di molte altre chiese che non cambiarono culto, il senso di quell’operazione aveva indubbiamente un valore geopolitico forte, che infatti costernò l’Europa. La fine dell’impero romano d’Oriente era oramai ineluttabile: il lento declino iniziato due secoli prima mostrava segni di desolazione e degrado diffusi. Il “centro dei quattro angoli del mondo” aveva perso il suo antico splendore, al suo posto sarebbe nata la moderna Istanbul, capitale della Sublime Porta. Chiudendo un altro capitolo della storia del Mediterraneo, quello della millenaria civiltà greca: passata dal periodo classico a quello ellenico ed infine bizantino. L’ambizione di Mehmet, al di sopra tutto, portò alla caduta di Costantinopoli, ridisegnando i confini dell’Europa, allora come oggi divisa da faide e rivalità. Su questa figura la storiografia si divide, c’è chi lo ritiene un sovrano saggio e lungimirante, e chi come Benny Morris evidenzia, con recenti studi, come l’Impero Ottomano abbia avuto nello sterminio dei cristiani una delle sue caratterizzazioni ideologiche. Erdogan che non nasconde ammirazione per questo personaggio, citandolo spesso nei suoi discorsi. Copiandone, ed esaltandone, non solo i valori islamici delle origini ma anche l’aspetto antieuropeista. A cui aggiunge le modalità del ricatto diplomatico, vuoi sulla questione dei migranti, vuoi delle politiche di decristianizzazione del Medioriente e, purtroppo, di una nuova guerra “santa” per Gerusalemme: “La risurrezione di Hagia Sophia è preludio alla liberazione della moschea al-Aqsa”, parola del sultano.

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