Firenze – E’ stato presentato nella Sede del Consiglio regionale il libro di Iacopo Nappini La memoria perduta. Il ricordo dei caduti della Grande Guerra a Firenze, (Mimesis editore 2019) con il quale l’autore analizza la crescita e poi la dissoluzione della memoria pubblica sui caduti della prima guerra mondiale, divenuta oggi un elemento marginale.
Il saggio esamina il caso della città di Firenze vista come laboratorio politico e culturale nel primo dopoguerra. Forze di tendenza reazionaria, conservatrice e perfino fascista, non senza contraddizioni, si legge in questo volume – intesero portare avanti a una pedagogia patriottica per le masse popolari, e di conseguenza indirizzare la rielaborazione del lutto privato e collettivo verso una concezione dello Stato, del sacrificio di sé e della morte in guerra compatibile con il nazionalismo italiano e l’ordine gerarchico allora esistente.
Poi la disfatta del regime e l’avvento della società dei consumi resero marginale questa memoria collettiva incentrata sulle lapidi, sui monumenti, sui Parchi della Rimembranza.
Qui di seguito, abbiamo esaminato con prof Nappini alcuni aspetti e alcune problematiche del libro in questione.
Qual è la memoria perduta?
La memoria è perduta quando gli oggetti, i linguaggi, i simboli che rimandano a un passato, lontano o recente che sia, risultano indecifrabili e misteriosi. Questa condizione si dà quando il senso dell’epigrafe, del monumento, della targa, del documento non può più esser capito, e perfino la voce o la musica o la canzone di cui si è uditori rimanda a sentimenti, ideologie, concezioni della vita e della morte che nel presente non sono comprensibili o lo sono solo in parte. La memoria perduta può esser smarrita e quindi ritrovata se diventa possibile il riscoprire il senso dei simboli, le passioni umane e la logica di quel che arriva da quel momento del passato. In questo senso credo di aver lavorato per anni su una memoria almeno parzialmente perduta per riportarla al livello di poter esser ritrovata.
Ci fu dunque anche un utilizzo politico della memoria della guerra?
Si. Addirittura all’inizio dello scoppio della Grande Guerra la consorteria al potere a Firenze stava lavorando all’ipotesi di una Grande targa monumentale in onore dei decorati in guerra da porsi presso il loggiato degli Uffizi. Cosa che non fu mai fatta. Il Famedio di Santa Croce con i suoi oltre tremilaseicento nomi di fiorentini morti in guerra incisi sulle lastre fa comprendere a chiunque che il potere politico doveva indirizzare e controllare il ricordo dei caduti e la rielaborazione del lutto. Occorre capire che la Firenze di allora, ma in generale quasi tutta l’Europa, vedeva folle di vedove che avevano perso il marito, madri senza senza più figli maschi, operai il cui compagno era morto, professionisti che avevano perso il collega di lavoro, padri di famiglia a cui era mancato il fratello o il figlio. Intere famiglie contadine spezzate dai lutti in qualche caso un’intera generazione devastata dalle mutilazioni o uccisa sui campi di battaglia o nell’ospedale da campo fra atroci dolori. Il problema di come concepire la morte in guerra era allora politicamente dirompente.
La memoria fu affidata non solo ai monumenti ai caduti ma anche alla toponomastica, ai Parchi della Rimembranza.
Nel mio libro c’è un capitolo in cui si tratta delle denominazioni stradali dedicate alla memoria della Grande Guerra e al caso del quartiere di Rifredi interessato ad una operazione di pedagogia patriottica attraverso la denominazione di strade e piazze. I Parchi della Rimembranza erano costituiti da piante che dovevano rappresentare chi era l morto in guerra; a una pianta doveva corrispondere un nominativo. Si trattò di una forma di rielaborazione del lutto che interessò tutta l’Italia e che fu concepita e attuata dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi e costituirono una parte importante della pedagogia patriottica del nascente regime fascista. Infatti il sottosegretario fece in modo di coinvolgere le scuole d’Italia e di far nascere i comitati che dovevano far erigere questi parchi-monumento proprio a partire dalla mobilitazione di presidi, insegnanti, genitori. Parco e denominazione stradale furono due modalità per far cadere nel quotidiano il ricordo del conflitto e dei lutti solitamente con una visione ideologica data da un patriottismo autoritario e paternalistico.
Nel libro si parla anche di alcuni monumenti particolari come quello al Medico militare e alla Madre italica
Alcuni monumenti ai caduti hanno avuto una rilevanza nazionale e non solo cittadina. I monumenti al Medico militare e alla Madre italica sono opera che intendevano avere questa dimensione nazionale. La Madre Italica in particolare voleva esser l’omaggio di tutto il popolo italiano, ma in realtà l’idea era stata concepita a Firenze da parte di personalità intellettuali e politici conservatori e filofascisti, al sacrificio e al dolore delle madri italiane che avevano perso in quella guerra figli, padri, mariti, fratelli. Fu anche un modo per collocare a Santa Croce un monumento che rappresentasse un modo unilaterale e d’impronta conservatrice per rielaborare il lutto del mondo femminile. Il monumento al Medico militare che ebbe toni nuovi sul piano della concezione artistica fu invece l’omaggio a quanti nella sanità militare erano morti in guerra al fronte, negli ospedali, anche per malattia contagiosa contratta in servizio, e perfino nel campo di prigionia dove avevano condiviso il trattamento e il destino dei soldati catturati.
Cosa intende per pedagogia patriottica?
Quando fu fondato il Regno d’Italia per via di una legge elettorale che dava il voto sulla base del censo a circa il due per cento della popolazione e a causa dell’ostilità della Chiesa alle prime elezioni votò circa un italiano su cento, fin dalle origini si aprì una distanza fra governati e governanti. Lo Stato Unitario dal 1861 al 1911 ebbe enormi difficoltà a far partecipare le masse popolari, operaie e contadini alle ragioni e ai miti del patriottismo di matrice borghese e monarchica. La Grande Guerra impose alle classi dirigenti del periodo uno sforzo inaudito in termini di nazionalizzazione delle masse. Era la prima volta che i quattro quinti delle famiglie italiane in modo diretto o indiretto erano coinvolte nel conflitto che avrebbe fondato il primo vero autentico strato di comune identità nazionale. Il potere politico fiorentino di matrice conservatrice e nazionalista fece della città di Firenze, che aveva interi quartieri popolari orientati a sinistra, un laboratorio per sperimentare le forme e i riti pubblici con le quali si poteva far calare sui ceti popolari il concetto d’appartenenza a una comune identità nazionale. Da questo punto di vista la mia ricerca risulta oggi interessante per coloro che s’interessano di storia e scienze politiche perché osserva come si crea, si sviluppa e si dissolve la costruzione politica della memoria pubblica.