Sanità, sciopero nazionale e due presidi dei sindacati di base

Firenze – Emergenza pandemia, ma, nonostante interventi dichiarati o presunti, la sanità piange. Oggi 21 maggio si sono tenuti due presidi da parte degli operatori e operatrici della sanità, indetti da Cub Sanità e Usb, in occasione dello sciopero nazionale degli operatori sanitari. A Firenze i presidi della sanità e del settore socio sanitario pubblico, privato e appaltato, è avvenuto sia davanti alla sede della Regione Toscana in piazza Duomo, sia in via Taddeo Alderotti davanti all’assessorato regionale della Sanità.

Per quanto riguarda l’Usb, che ha tenuto il presidio in via Alderotti,  una delegazione è stata ricevuta dal responsabile delle relazioni sindacali della Regione Toscana. Nel corso dell’incontro, come riferisce Stefano Corsini dell’Usb, sono state rappresentate tutte le carenze che sono emerse nel corso dei due anni di pandemia, oltre alle misure che non sono state prese e alla preoccupazione destata dalle misure di economia e finanza circa la sanità, con spese che “riportano di fatto il finanziamento al fondo sanitario nazionale alla situazione pre pandemia, come se non fosse successo niente e le maggiori spese non verranno consolidate”. Una preoccupazione che, dicono dall’Usb, “ci sembra condivisa anche dalla Regione Toscana”, che, avendo privilegiato la via delle assunzioni fisse, anche se in numero non sufficiente a compensare ciò che era stato perso negli anni addietro, è consapevole di correre il rischio che, per ritornare al livello di finanziamento di pre-pandemia, “non si vada a sostituire il turn over”. Oltre al mancato inserimento, presente sulla carta grazie alla legge Lorenzin, degli operatori sociosanitari in fascia C, rimane irrisolto anche il grosso nodo dei pesanti e continui provvedimentio disciplinari che vengono comminati al personale che denuncia le carenze che riguardano la sicurezza, la pianta organica e le condizioni di lavoro degli operatori. “Il sistema qui è fallito – ha spiegato Corsini – la pandemia ha messo a nudo quanto è stato devastato negli anni il servizio sanitario nazionale”. La Regione sembra orientata a stabilire relazioni sindacali con Usb e le altre sigle dei sindacati base con tavoli periodici.

Presidio Usb in via Taddeo Alderotti

I circa 150 lavoratori e lavoratrici partecipanti al presidio in piazza Duomo della Cub, hanno consegnato, tramite una loro rappresentanza, un documento alla presidenza della Regione Toscana, in cui si sottolineano i punti di alta criticità del sistema e si avanzano una serie di richieste per rimettere in moto la macchina della sanità pubblica e privata. Lo stesso documento era stato ricevuto due giorni fa dalla Prefettura. La Cub ha in corso alcuni incontri con la controparte regionale.

Fra i punti maggiormente critici messi in evidenza dai lavoratori, le “ulteriori privatizzazioni dei servizi e il ricorso al privato per tutte le prestazioni non covid, carenze di personale e precariato nei servizi, cassa integrazione per gli operatori delle RSA a seguito dei decessi degli anziani e della conseguente riparametrazione del personale, sopsensione dal lavoro senza stipendio per gli operator* che per salute o per dubbi alimentati anche dalle notizie quotidiane che si rincorrono, non vogliono sottostare all’obbligo vaccinale imposto dalla legge 44 del 1 aprile”.

Inoltre, la CUB sanità ha aderito alla campagna No profit on pandemic, su cui sta raccogliendo le firme anche nella sede fiorentina, ribadendo che “il vaccino è un diritto ma non può essere un obbligo a cui vincolare anche lo stipendio delle persone”. Un punto particolarmente delicato quest’ultimo, che vede il sindacato di base in una posizione molto critica, tant’è vero che il sindacato richiede che  il D.L. 44/2021, che prevede la sospensione dal lavoro di chi rifiuta o non può vaccinarsi, “non sia convertito in legge e venga garantito il diritto al reddito per i lavoratori che non possono o non vogliono vaccinarsi”.

“L’Italia è l’unico Paese europeo che abbia stabilito un tale obbligo – spiegano dalla Cub – dando per scontato che le vaccinazioni attualmente disponibili diano una effettiva copertura contro il rischio di reinfezione e di contagiosità, cosa che non è né dimostrata, né contemplata dalle indicazioni delle case farmaceutiche produttrici e neppure da quelle dell’Istituto Superiore di Sanità, come evidenziato nel Rapporto ISS n. 4/2021, recepito dal Ministero della Salute con provvedimento n. 0010154-15/03/2021-DGPRE-DGPRE-P: “Una persona vaccinata … deve continuare a rispettare le misure di prevenzione per la trasmissione del virus (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani) anche se ha effettuato le due dosi previste e deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione succitate, poiché non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone.” Quanto previsto da questo decreto priverà della possibilità di lavorare molti operatori, e , data l’impossibilità di ricollocare la maggior parte di loro, li priverà del reddito”. Un altro effetto paventato, è quello della conseguente riduzione di personale, con possibili chiusure di servizi e mancate risposte ai cittadini, “oltre che sovraccarico degli operatori che restano in servizio, già provati dalle pesanti condizioni di lavoro conseguenti alla pandemia”.

Il vero nocciolo della protesta è composto da criticità che, già presenti nella fase pre-covid, sono esplose con l’impatto della pandemia, rendendo più difficili le condizioni degli operatori del settore. “Turni massacranti, carenze croniche di personale, carenze nelle misure di sicurezza e nella tutela della salute dei lavoratori del settore,situazioni drammatiche nei servizi esternalizzati e nelle RSA, dove migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione e a rischio licenziamento. A tutto questo si somma l’inutile autoritarismo imposto agli operatori sanitari dal Governo Draghi, che impone l’obbligo vaccinale con il ricatto e la minaccia di privazione del reddito”.

La “ricetta” proposta dalla Cub vede al primo punto “massicce assunzioni e la stabilizzazione d’urgenza del personale precario e a tempo determinato dove già opera”. Inoltre, i lavoratori si dicono molto critici verso i finanziamenti previsti dal Recovery plan, giudicati “assolutamente insufficienti in quanto i 19 miliardi previsti non vanno nemmeno a coprire i 37 miliardi persi negli ultimi 10 anni. Inoltre la loro destinazione pare al momento più finalizzata ad un’ulteriore privatizzazione dei servizi . Infatti la destinazione delle risorse prevede investimenti strutturali e tecnologici ma non prevede le massicce assunzioni necessarie in un settore dove l’apporto delle risorse umane è fondamentale ed è vincolante per un ritorno alla Sanità Italiana di quando era tra le migliori al mondo, grazie ad un Servizio pubblico, universale, gratuito”.

Un punto particolarmente critico riguarda le Rsa, dove “migliaia di lavoratori in Italia sono in cassa integrazione o FIS , a seguito delle riduzioni delle presenze, dovute anche alle tante morti nelle Rsa. Questi lavoratori , che hanno contratti di lavoro con stipendi minori di circa il 30% del comparto pubblico, a parità di qualifiche e mansioni, vedono decurtarsi lo stipendio di un ulteriore quota a seguito della cassa integrazione”.

Altro punto, riguarda il blocco dei licenziamenti, che com’è noto verranno sbloccati in due tranche, al 30 giugno e al 31 ottobre. Dalla Cub proviene la richiesta di una proroga del blocco “fino a fine pandemia”, ovvero “fino a quando non si siano create le condizioni per una piena ripresa occupazionale”, pena l’eventualità di mettere a rischio svariate centinaia di posti di lavoro nel settore sociosanitario.

 

Foto copertina: presidio Cub in piazza Duomo

 

 

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