Talune dichiarazioni del Premier Mario Monti hanno di recente acceso un dibattito sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale che, a detta del Premier, rischia di essere pregiudicato dall’aumento della percentuale di popolazione anziana italiana (dovuto sia alla longevità ma soprattutto al basso tasso di fertilità ).
I tagli lineari che per mancanza di fondi questo governo ha apportato alla Sanità sono noti a tutti, ma viene da chiedersi: “ La popolazione che invecchia, fenomeno demografico non solo italiano, può davvero pregiudicare il futuro della Sanità Pubblica? “Se la risposta a questa domanda fosse affermativa, allora sarebbe necessario, come sembra sostenere il Premier, trovare altre forme di finanziamento (private?) oppure, come suggeriscono le ultime dichiarazioni del Presidente della Repubblica Napolitano, far pagare di più ai più abbienti (che continueranno a scegliere il pubblico per sussidiare le prestazioni gratuite per i meno abbienti?).
Se, invece, la risposta a questa domanda fosse negativa, allora l’argomento della popolazione che invecchia diventa un modo per giustificare tagli di spesa o nuove imposizioni. Come spesso avviene però, in Italia il dibattito spesa sanitaria-popolazione sta cominciando solo adesso, mentre all’estero ne parlano da decenni e la risposta a questo quesito sembrano averla già data.
La questione è trattata in un documento redatto nel 2009 per conto dell’Orgnizzazione Mondiale della Sanità da quattro eminenti studiosi nel campo della Health Policy: Bernd Rechel della London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM) , Yvonne Doyle (NHS), Emily Gorundy (LSHTM) e Martin McKee (LSHTM); in questo documento si sottolinea un consenso crescente, a livello internazionale, all’idea che l’invecchiamento della popolazione non produce una crescita della spesa sanitaria.
Recenti ricerche hanno dimostrato che la maggior parte dei costi sanitari pro-capite si concentra nell’ultima fase della vita dell’individuo indipendentemente dall’età raggiunta, ovvero che è rilevante non tanto la spesa sanitaria correlata all’invecchiamento quanto quella degli ultimi anni di vita. Le persone più anziane sono quelle a cui è associato un tasso di mortalità più elevato ed è per questo motivi che fino ad pochi anni fa si confondeva il costo di invecchiare al costo di morire. Uno studio condotto in Danimarca ha riscontrato che individui anziani malati ma non in procinto di morire non richiedono cure più costose di quelle destinate a individui giovani che presentano la stessa patologia. Altri studi hanno poi dimostrato che più si invecchia più i costi sostenuti in prossimità della morte dal sistema sanitario si riducono (raggiungono il punto più elevato per coloro che muoiono a 45 anni di età).
Questo effetto deriva dall’esclusione dell’anziano da trattamenti che diventano non appropriati in quanto il prolungamento della speranza di vita ottenibile da quel trattamento si riduce, con l’età, a livelli che non giustificano più né i costi né i rischi del trattamento stesso. Da questi studi emerge che l’invecchiamento non produce, nei confronti della spesa sanitaria, una crescita di costi analoga a quella prodotta nei confronti del sistema pensionistico, e non giustifica né propositi o minacce di dismissione del servizio sanitario pubblico né nuove specifiche imposte a carico dei cittadini più abbienti.
La sfida per ogni sistema sanitario pubblico, concludono gli studiosi inglesi, non sta nell’aumento della percentuale di anziani, ma nello stato di salute con cui i cittadini raggiungono la vecchiaia. Più è elevata la percentuale di malati cronici più è oneroso per lo Stato finanziare il long term care perché grazie alle nuove cure (per fortuna) questi malati cronici potranno vivere più a lungo.
Fondamentale è quindi ridurre con politiche di prevenzione la percentuale di persone che adotta comportamenti a rischio, come fumare, bere o praticare una cattiva alimentazione.
Per alleggerire nel medio e lungo termine i costi del Servizio Pubblico l’Italia (come per ogni paese che ha ottenuto con successo di aumentare le aspettative di vita dei propri cittadini) deve intraprendere iniziative efficaci per promuovere un invecchiamento in buona salute (Healthy Aging) e garantire che a beneficiare di tali interventi non siano soltanto gli abitanti di alcune regioni soltanto ma l’intera nazione.
Carla Guerriero
Assistente di Ricerca in Economia Sanitaria presso il Dipartimento di Public Health and Policy alla Facoltà London School of Hygiene and Tropical Medicine
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