Firenze – Salvatore Veca tenne la cattedra di Filosofia Politica all’Università di Firenze dal 1986 al 1990. Io lo avevo già conosciuto a un “mercoledì” di Paolo Rossi, quando venne a presentare il suo libro su Il programma scientifico di Marx, e colsi (allora ero un giovane ricercatore che si cimentava con l’epistemologia delle scienze dell’uomo) un modo diverso di trattare quell’argomento, non ideologico, e soprattutto coraggioso nel declinare originalmente (qualcuno a Firenze avrebbe detto con sufficienza “positivisticamente”) il rapporto scienza/marxismo.
A Firenze trovò un po’ della sua “scuola milanese” in coloro che avevano lavorato con Antonio Banfi. Lo accolse molto calorosamente Paolo Rossi, con cui fu spontanea la simpatia intellettuale, mentre nell’aria, e negli allievi, avvertì ancora viva la lezione di Giulio Preti, sempre tenuta presente da Veca, soprattutto nel suo costante sforzo di mettere in tensione la dimensione della riflessione filosofica con gli esiti del sapere scientifico e nel trattare socraticamente, conferendo un primato alla conoscenza, i rapporti tra filosofia, politica e cultura.
Furono ammirevoli la determinazione e al contempo il rispetto con cui entrò in un ambiente accademico come quello della Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze, fortemente caratterizzato (allora tra i docenti insegnava mezzo comitato centrale del PCI), con lo spirito di chi intendeva confrontarsi e si metteva a disposizione per seminari coi colleghi e per una collaborazione aperta al dialogo, criticamente, ma senza polemiche, senza tensioni, per amore della verità.
Trovò il modo, in quei pochi mesi, di laureare giovani che poi avrebbero fatto una brillantissima carriera universitaria anche all’estero, come Carla Bagnoli, Luca Ferrero e Ingrid Salvatore, e accolse poi a Pavia con particolare dedizione molti giovani che provenivano dall’Università di Firenze. Trovò in Massimo Mugnai, che come lui si era in quegli anni occupato “positivisticamente” di Marx, un amico e un interlocutore particolarmente congeniale che Veca, con l’onestà intellettuale che lo ha sempre distinto, ha voluto ringraziare, nel suo recente Il senso della possibilità, come lo studioso da cui aveva tratto ispirazione e argomenti per questioni fondamentali della sua ricerca.
Veca a Firenze. Non è stato dunque un semplice passaggio, e il segno della sua predilezione per la cultura angloamericana (Rawls, Nozick, Williams interlocutori prediletti), lo spirito “illuminista” e liberale che molti di noi abbiamo condiviso con lui sin dal nostro primo incontro, restano intatti e ancora una sfida nella cultura fiorentina. Avrei voluto che l’idillio tra Veca e Firenze si rinnovasse in questo momento in cui io mi accingo a dare continuità alle attività e alla tradizione del Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza. Recentemente lo avevo contattato proprio per questo.
Basta poco per far “rinascere” il Centro Fiorentino. Basta che due dei firmatari dell’atto costitutivo convochino un’assemblea ordinaria e nominino il nuovo presidente e i membri del cda; poi si indirà un’assemblea straordinaria, durante la quale si presenterà il nuovo statuto aggiornato alle normative del terzo settore e si riempirà il libro dei soci…E Salvatore così mi scriveva in risposta ad una mia lettera di memorie e di propositi su quell’impresa: “grazie della cortese email nella cui parte narrativa ‘agnosco veteris vestigia flammae’. L’idea di far rinascere il Centro fiorentino è abbastanza matta da riuscire attraente, e l’antica amicizia mi induce ad accettare il tuo invito. Con una sola clausola limitativa: come ‘vecchiarello’ il mio contributo è sempre disponibile dal mio studio e zoomando. Più difficile, in questo periodo, muovermi”.
Si diceva felice di aiutarmi nell’impresa e onorato di essere nel nuovo consiglio direttivo. Sarebbe stato contento di rivedere e risentire vecchi amici: Massimo Piattelli Palmarini (anche se solo dall’America), Marisa Dalla Chiara, Salvatore Califano, Massimo Mugnai e altri colleghi degli anni fiorentini. Nelle lettere che ci siamo scambiati per l’occasione, quando gli chiedevo consigli, me ne dette uno significativo della sua straordinaria sensibilità: “l’unico suggerimento che mi sento di darti è di inserire [nel testo di presentazione del nuovo Centro] una breve riflessione sulla crescente rilevanza che hanno oggi nella comunità scientifica e accademica internazionale le città come attori di riferimento per la cultura, per l’economia e le pratiche sociali”.
Poche parole, nel suo inconfondibile stile di uomo presente al suo tempo e di educatore che indica discretamente le direzioni, mai i punti di arrivo. Ho seguito volentieri il suo consiglio e lui mi ha premiato con un ironico “Ottimo!” in pagella. E a quel punto, a proposito, abbiamo parlato anche di quanto fosse stato importante per me l’esempio dell’impegno che lui si era preso subito dopo l’Expo di Milano, quando diresse il Feeding the Planet Institut, mentre io stavo realizzando a Pistoia un centro di alta formazione e ricerca sui temi del paesaggio, della città, del rischio, della salute e mi rendevo conto di quanto gli volevo somigliare nell’apprendere dalle sfide del mondo.
Salvatore Veca è mancato ai nostri affetti e alla nostra infinita conversazione la notte del 7 ottobre scorso. La sua signorilità, il suo vero amore per il lavoro intellettuale, la sua lealtà e franchezza nell’amicizia e nella cooperazione, resteranno nel nostro devoto ricordo.
Foto: Salvatore Veca (http://archivio.comune.pv.it/fds/festival-dei-saperi-2010/il-festival/photo-gallery)