Sesto Fiorentino – Ora che la storica fabbrica di porcellane sestese, la Richard Ginori, ha ricominciato la produzione grazie alla provvidenziale acquisizione di tutto il complesso industriale da parte del gruppo Gucci, poco si parla di quella vicenda ancora tutta da decidere che riguarda il futuro del Museo di Doccia. La ripresa della produzione e l’aver scongiurato la definitiva chiusura insieme al licenziamento dei suoi 300 addetti, ha messo completamente in ombra una storia singolare che a tutt’oggi viene combattuta a suon di marche da bollo. La Gucci infatti ha comprato lo stabilimento e il marchio ma non l’adiacente Museo di Doccia, del quale ora si stanno occupando i due curatori fallimentari Sandro Quagliotti e Andrea Spignoli.
Oliva Rucellai, conservatrice del Museo dal 2002, ha vissuto in prima persona tutto l’iter della complicata vicenda fino alla sua attuale temporanea conclusione. “Un anno e mezzo fa la Richard Ginori è fallita, ma i curatori fallimentari, animati dalle migliori intenzioni – hanno fatto la scelta di tenere ugualmente aperto il Museo. La collezione è anche un bene della collettività e non può essere abbandonata a se stessa. Purtroppo però, a un anno dall’acquisizione dello stabilimento produttivo da parte di Gucci, si sono visti costretti a mettere i sigilli alla collezione per eliminare le spese di gestione. Questo è avvenuto il 15 maggio scorso, dopo pochi giorni sono iniziate le trattative; mi auguro che presto si trovi una soluzione ”.
Quante persone lavoravano nel Museo?
Nel Museo c’ero io che lavoravo a tempo pieno, poi c’erano Rita Balleri e Giulia Gigli part-time con contratti a termine ma negli ultimi due anni ero da sola”
Come viene gestito il Museo?
“ Nell’ultimo periodo la situazione era completamente anomala, con l’azienda sempre sull’orlo del fallimento. Tali e tante erano le cose da fare, essendo sotto organico, che posso ben dire di non avere avuto il tempo di annoiarmi. C’era da fare di tutto. Dalle visite guidate alla biglietteria. Poi i laboratori didattici per le scuole, l’organizzazione delle mostre, la gestione delle richieste di prestito anche per l’estero, invii di immagini per pubblicazioni e giornali. Ci sono poi le ricerche e le consulenze: informazioni sulla storia e sui manufatti, ricercatori che vogliono consultare l’archivio, studenti e tesi di laurea. È importante rendere fruibile la collezione non solo al pubblico ma anche agli studiosi per far progredire le conoscenze e indirettamente cercare di promuoverlo. Il tutto senza nessun tipo di budget”.
Qual è la storia della collezione?
“Il museo aperto al pubblico è nato nel 1864. A Doccia però la collezione esisteva già da molto tempo, prima, come nucleo, in una sala dove era esposto il meglio della produzione (l’attuale Sala Meucci della Biblioteca di Sesto), era una specie di moderno show room. Poi si è storicizzato come una specie di archivio della produzione ma orientato sui pezzi artistici di grandissimo pregio. Alla luce dell’indirizzo moderno questa è però una limitazione perché per una maggior completezza sarebbe interessante che il museo contemplasse anche la produzione seriale e industriale che ha sempre affiancato quella artistica e la cui documentazione è uno dei progetti dell’Associazione Amici di Doccia”.
Il museo conta migliaia di pezzi, qual è quello che lei ritiene più interessante?
“Ce ne sono tanti, comunque uno dei pezzi che amo di più è una sontuosa caffettiera del 1750 di forma barocca, scultorea, ma decorata con due tecniche sperimentali che dimostrano lo spirito e la passione di Carlo Ginori per la tecnica e per la scienza. La sua decorazione infatti è ‘a stampino’ – ovvero stencil – sul coperchio e ‘a riporto’ sulla pancia; la tecnica ‘a riporto’ non è la pittura classica a pennello ma è un antenato della decorazione a decalcomania. È uno dei primissimi esempi in Europa che è poi stata perfezionata in Inghilterra. Carlo Ginori la provò già agli albori, con spirito industriale, lui voleva fare un’impresa che avesse un valore economico, che desse dei profitti”.
C’è pericolo che la collezione venga venduta pezzo per pezzo?
“Fortunatamente no, esistono vincoli in virtù dei quali c’è l’obbligo di comprare l’intera collezione e anche l’immobile che la contenitore. L’edificio fu progettato nel 1960 e aperto nel giugno del 1965. Il progetto è dell’architetto Pier Niccolò Berardi che aveva fatto parte dello studio di Michelucci. E’ raro che in Italia ci sia un museo costruito ad hoc per una collezione d’arte e anche per questo il ministero lo ha tutelato. Nel 2012 la sovrintendenza ha vincolato l’immobile di per sè, che prima non lo era, e anche in quanto pertinente alla collezione. I curatori devono trovare qualcuno che compri o che prenda in gestione il tutto”.
Come vede il futuro del museo?
“Il mio sogno è che il Museo possa essere più conosciuto e più visitato e sarebbe bene che avesse uno spazio anche a Firenze ma penso che potrebbe essere molto più vissuto anche dai sestesi, è fondamentale per l’identità storica di questo territorio. Forse con l’aiuto del Comune si potrebbe trasformarlo in luogo di aggregazione frequentato non solo dagli appassionati ma anche dalle famiglie e dai giovani, con attività e proposte per grandi e piccini. Molti sestesi non ci sono neanche mai entrati. Alla fine era diventato un po’ triste” .
A colloquio con Livia Frescobaldi
Livia Frescobaldi è Vice Presidente dell’ Associazione Amici di Doccia nata 11 anni fa dall’iniziativa di un gruppo di appassionati e cultori dell’arte ceramica. “Un’associazione nata in completa autonomia e indipendenza rispetto alla proprietà che in questi anni è cambiata ben tre volte . La nostra attività – ci dice ancora Livia Frescobaldi – è stato quella di affiancarci alla ricerca e al lavoro di tutti coloro che vogliono valorizzare la collezione, di concerto con la direttrice del Museo”.
Quale ambito curate in maniera particolare?
“Uno dei primi compiti è trovare sponsor ai nostri progetti come per la catalogazione della produzione 2007/ 2010, un lavoro che credo sia stato molto utile documentare , così come fotografare i bisquit prodotti negli anni ‘60, per la diffusione e valorizzazione del patrimonio produttivo. Il Museo ora è chiuso ma questo non ci ha fermato. Avevamo già programmato la mostra su Gio Ponti che è attualmente in corso al Museo Marini e l’abbiamo realizzata. La mostra è una anticipazione della pubblicazione di un volume sull’intera collezione disegnata dall’architetto e designer milanese che consta di circa 500 pezzi. Abbiamo organizzato mostre su temi inediti: allo Stibbert , Risorgimento della maiolica italiana , Lusso ed eleganza a Palazzo Pitti. Pubblichiamo Quaderni, una rivista annuale che esce in gennaio di carattere monotematico: l’ultimo numero, quello del 2013, è stato tutto dedicato ai pezzi di Doccia conservati al Victoria ed Albert Museum di Londra, circa 150”.