Salute e società: come cambia la comunicazione del cancro

Parla Eugenio Paci, epidemiologo coordinatore Lega della lotta contro i tumori (Lilt)

King Charles ha il cancro, titola il Times. Lo comunica ufficialmente Buckingam Palace. “L’episodio di re Carlo è l’ultima e più fragorosa dimostrazione di come la comunicazione del cancro stia cambiando. Se pensiamo a come fu tenuto nascosto il tumore di re Giorgio V si percepisce immediatamente che la rivoluzione delle parole, che solleva chi è malato dalla morte sociale, è in atto. Nonostante ancora, ma sempre meno frequentemente, si continuino a usare per il tumore perifrasi misteriose: male incurabile, brutto male, malaccio. Come per l’infarto non è mai accaduto. Ma l’inganno del cancro sta tramontando anche se ce n’è di lavoro  da fare” . Ne è convinto Eugenio Paci, epidemiologo, ex direttore dell’unità di epidemiologia clinica dell’Istituto studio e prevenzione oncologica della Regione Toscana (Ispro) e attuale coordinatore regionale della Lega italiana della lotta contro i tumori (Lilt).

 Paci, ma perché questa differenza tra cancro e infarto?

“Sta crollando, ma ha resistito tanto. L’infarto si è e sempre dichiarato, mentre il voler celare l’esistenza e il nome stesso del cancro è un inganno che viene da lontano. Come a esorcizzare un mostro che fa paura, qualcosa che ti cresce dentro, che si impadronisce di te e ti distrugge. Un atteggiamento nato intorno a una malattia che può ucciderti e è innegabile che faccia paura, senza però considerare che ce ne sono varie altre che sono gravi e uccidono ma si dichiarano. Intorno al cancro si è creato un alone magico: il ‘male cattivo’.  Ma cosa vuol dire? Da quando è stata scoperta, dentro l’alone è entrata anche la chemioterapia, la cura che può distruggerti come, al polo opposto,  è quella tramite cui si ‘fa la guerra’, la frase che ti esorta al titanismo eroico che può essere pesante anche quello. Certo, è innegabile che la chemio sia una terapia pesante ma ce ne sono altre pesanti e nessuno lo sottolinea. Ambedue gli atteggiamenti, di inganno o di guerra, rendono ancora più difficile affrontare la malattia e isolano il malato ”.

 Ma il cancro viene sentito diverso dalle altre malattie.

“ È un alone che è difficile rompere. In realtà è un inganno: il cancro è solo una malattia grave ma  come altre che uccidono o a cui si può sopravvivere, un’ipotesi quest’ultima ormai sempre più possibile anche per il cancro”.

 E perché adesso, dice lei, si comincia a comunicarlo nudo e crudo?

 “Probabilmente appunto perché si sopravvive di più. Le cito un altro esempio di sopravvenuta familiarità con la malattia che da sempre fa più paura, non solo regale e pubblico, ma di gente comune. Recentemente la Lilt ha fatto la sua prima festa sul cancro, o meglio, per svelare l’inganno del cancro. Lo ha fatto in Toscana, nel bel paesaggio di Torre del Lago Puccini, e mi sono stupito di vedere una folla impensabile, non solo di malati o ex malati impegnati a reinserirsi nel mondo, ma anche di molti altri che soffrono di disagi vari e, soprattutto, di persone sane che sono accorse in tante. Tutti insieme, nelle varie attività ludiche, sportive, artistiche della festa, a dimostrazione che la vita è per tutti fatta di vita e di morte, di gioia e di dolore, di problemi e di sorrisi. Uno dei più efficaci  strumenti di verità  a Torre del Lago era il teatro, quello che più di tutti, fin dal suo inizio in  tempi antichissimi, parla di vita e morte, di gioia e dolore”. 

 Secondo lei chi ha rotto per primo il silenzio?

 “Direi le donne, che hanno cominciato per prime a mettere in pubblico il loro cancro al seno e a viverlo insieme alle altre. Le prime,  per esempio,  a pensare, in seno alla   Lilt, ppa iniziative come le competizioni di Dragon boat, che si sono via via aperte a tutte le donne, ex malate o sane e poi anche agli uomini” .

 E questo, perché di cancro al seno si è iniziato a guarire prima  o perché le donne sono diverse dagli uomini nella malattia, non fosse altro perché hanno una percezione più consapevole del loro corpo e un rapporto diretto con la vita e la morte? “Ambedue. Le donne hanno un atteggiamento diverso di fronte alla malattia, se la prendono in carica, si sono familiarizzate con la prevenzione e la diagnosi precoce. Gli uomini, appena si ammalano, diventano in genere subito passivi e affidano la faccenda alla moglie. Dall’altro lato, con la Lilt stiamo studiando la traiettoria dell’atteggiamento di fronte al cancro partendo appunto dalle donne e abbiamo visto che via via diventano più forti e meno impaurite: sanno che si può sopravvivere e il mostro diventa meno mostro se si può sopravvivergli”.

E dunque, si inizia a pronunciare la parola esecrata?

 “ Se ne inizia a parlare, qualcosa sta cambiando. E così si favorisce la convivenza tra i malati e i cosiddetti sani e si capisce che tutti abbiamo le nostre fragilità, anche fisiche ma non necessariamente fisiche, chi per un verso e chi per un altro. Siamo tutti uguali. Così si toglie un doppio peso al malato che fino a poco fa ha sofferto non solo della paura  della morte ma anche della morte sociale” .

 Cosa vuole dire con morte sociale?

“Quando per esempio una persona aveva un cancro e tutti lo sapevano fuorché il malato. Se gli altri fingono, tu finisci come un morto, non hai rapporti. L’isolamento è  iniziato a diminuire da quando, da un po’ di tempo, i medici hanno cominciato a dire la verità al paziente anche se forse a volte troppo brutalmente. Ma è ancora isolamento finché la comunicazione della malattia al mondo esterno avviene tramite l’inganno del cancro di cui non si pronunzia la parola e, sempre per via dell’alone di magia, si parla fumosamente di male cattivo. Ma cosa significa? Il silenzio isola il malato e lo fa piombare anche nella vergogna perché se qualcosa si tace vuol dire che bisogna vergognarsene”.

Lei sostiene però che la comunicazione è cambiata.

 “Oggi l’inganno c’è sempre meno . Ci stiamo abituando a parlare del cancro in modo sincero, Comunque è  qualcosa che deve essere fatta bene,  cogliendo tutti gli aspetti della vita che, come già dicevamo,  non è un’esperienza patinata ma  è fatta per tutti  di vita, malattia, morte, speranza e in cui la vita malata può avere  anche più intensità. Non nascondere più la malattia aiuta. Anzi credo che la cosa debba essere così esplicita che, come oggi si è iniziato molto a parlare di cure palliative per affrontare la fine della vita,  si debbano immaginare strutture simili per aiutare a rientrare nel mondo gli ex malati che hanno perso i punti di riferimento. Come si sforzano, per esempio, di fare il Cerion a Firenze (Centro di riabilitazione oncologica) e, a livello nazionale, la Lilt”.

 Ma a volte la comunicazione non può essere brutale?

“Bisogna stare attenti, capire come si deve fare. In Usa si è molto più brutali e ci criticano per essere ancora troppo poco trasparenti. Per esempio per i personaggi pubblici americani è obbligatorio dire: ho il cancro. Certe volte può anche essere un po’ crudele. Un atteggiamento estremo che va di pari passo con l’altro che obbliga alla speranza e alla fede assoluta nelle tecnologie che guariscono.  Bisogna fare attenzione, le tecnologie sono ancora imperfette, la speranza forzata  può portare alla delusione. Il ‘devi lottare a tutti i costi, i mezzi ci sono’ può farti sentire in colpa se stai male. Meglio l’atteggiamento per  cui  la vita che c’è  va vissuta pur non essendo sbagliato avere paura perché, come la malattia, la paura fa parte della vita. E, questo, più che si parla e più è facile”.

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