Firenze – A quanto ammontano le busta paga di un operaio della Sabo srl? Eccole, le mette in allegato il segretario generale della Fiom fiorentina Daniele Calosi: vanno sui 1200 euro o poco più, come si legge nero su bianco. Eppure sembra che siano proprio questi i costi inderogabili che fanno entrare in crisi l’azienda di Vicchio, tant’è vero che chiede ai suoi operai di dimezzarle: circa 600 euro, insomma, al mese.
E’ questo che denuncia la Fiom fiorentina con una nota del segretario generale Calosi. Che dice: “Venerdì in Provincia si è tenuto il terzo incontro alla presenza del Direttore dello Stabilimento e del Consulente dell’azienda, del Sindaco di Vicchio, della Rsu, della Fiom Cgil di Firenze e di Confindustria”. Un incontro che, ricordiamo, era successivo alle dichiarazioni degli stessi vertici aziendali della Sabo srl di Vicchio, in cui si sosteneva la necessità “di procedere alla riduzione dei costi per un importo pari alla retribuzione di dieci dipendenti”.
Venerdì dunque l’esponente della Fiom Yuri Vigiani aveva messo sul tavolo un’apertura del fronte dei lavoratori per andare incontro alle esigenze espresse dall’azienda, che comunque vive da tempo “una crisi di volumi produttivi comune a tutto il settore dell’automotive e dal 2010 fa ricorso ad ammortizzatori sociali” (la Sabo è attività controllata dalla commerciale bolognese Roberto Nuti Spa e produce ammortizzatori per veicoli industriali; ad oggi conta 35 dipendenti). Una crisi dunque non dell’oggi, tant’è vero che qualche mese fa, come ricorda Calosi, al tavolo in Provincia “l’azienda aveva dichiarato esuberi che sembravano scongiurati, almeno fino a qualche giorno fa”.
E quale era l’apertura? Consisteva nella conferma della disponibilità dei lavoratori “a cancellarsi tutte le maggiorazioni salariali derivanti dalla contrattazione di secondo livello, quali i ticket restaurant ed i premi di produzione”. Inoltre Vigiani aggiungeva che i dipendenti erano pronti “a rivedere l’organizzazione del lavoro ed aprire all’ipotesi della turnazione al fine di favorire un maggiore sfruttamento degli impianti ed aumentare così la produzione spalmando i costi fissi su un orario più lungo”.
La risposta dell’azienda non è stata però quella che i lavoratori si aspettavano. Infatti, dice Calosi, “l’azienda ha risposto all’apertura del sindacato facendo presente che la disponibilità avanzata potrebbe non essere sufficiente e lasciando intendere che, qualora non si arrivi alla riduzione delle spese dirette sul personale, ad essere in gioco è la permanenza dell’attività sul territorio”.
Insomma, in altre parole sembra davvero che per l’azienda sia essenziale ridurre le spese di personale. Vale a dire, invece di 1200 e qualcosa, gli operai dovrebbero cedere sul loro stipendio circa 600 euro. Per essere sicuri che l’azienda “manterrà la permanenza” dell’attività sul territorio.
“La proposta paventata dalla dirigenza è un ricatto a tutti gli effetti” è la reazione di Daniele Calosi. Che ci mette il carico: “Ancora non è stata votata la fiducia che già si accusano gli effetti negativi del Jobs Act”.
“Non è possibile indurre i lavoratori ad abbassarsi le retribuzioni per mantenere il posto di lavoro. Se le buste paga che qui alleghiamo (e che noi mettiamo in foto, ndr) sono considerate troppo alte vorrà dire che da domani chiederemo ai lavoratori di fare volontariato alle aziende. In cambio però vorremmo che le controparti ricambino la trasparenza dimostrata dai lavoratori”. Intanto, un prossimo incontro è fissato, sempre in Provincia, per il prossimo giovedì 6 novembre.