Fabio Bartoli ha onorato la professione giornalistica con grande impegno, intelligenza e saggezza. Una solida formazione alla BBC, poi una carriera all’Agenzia Ansa, passando attraverso incarichi prestigiosi: capo della cultura, capo del politico parlamentare, segretario di redazione. Ma è stato il teatro a rappresentare una costante della sua personalità, generosa come sanno esserlo solo i veri creativi. Colleghi nella redazione per l’estero del palazzo di via della Dataria, eravamo diventati amici inseparabili, frequentatori dei teatri trasteverini alla fine degli anni 70, quando regnava a Roma Renato Nicolini e trionfava la sua Estate che per la nostra generazione è stata una specie di categoria dello spirito.
Per me è stato un divertimento emozionante incontrare i protagonisti dell’avanguardia teatrale (da Remondi e Caporossi, a Giancarlo Nanni a Giuliano Vasilikò, e a tanti altri), per lui era invece un momento di crescita verso ciò che dà sapore all’esistenza, com’è la rappresentazione della realtà sulla scena. Cominciò con una proposta operativa il nostro comune rapporto con il teatro, un’idea uscita dal Pozzo di Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, la prima pièce alla quale assistemmo al teatro in Trastevere. Da pochi mesi avevo fondato con alcuni amici la Casa Usher, l’editrice che voleva cavalcare l’ondata di vitalità dello spettacolo come cultura (da non confondersi con il suo contrario, ora purtroppo predominante, della cultura come spettacolo), e non ci volle grande fantasia per pensare a un volume sul teatro di avanguardia che fioriva nelle cantine romane, cominciando proprio da quei due singolari personaggi che hanno lasciato un’impronta forte e duratura nella cultura italiana.
Subito dopo la pubblicazione del libro che portava il titolo, Branco, di una delle opere della coppia, me ne andai in Germania inseguendo sogni professionali alternativi, mentre Fabio continuava il suo percorso romano, coltivando la passione alla quale riuscì ad accostarsi ancora di più grazie all’incarico di responsabile della cultura e degli spettacoli dell’Agenzia. Non abbiamo mai interrotto la nostra collaborazione: ci sono contributi reciproci, quanto meno di idee e di suggerimenti, in diversi momenti della rispettiva attività professionale.
Periodicamente la posta mi riservava i suoi testi teatrali che mi inviava per chiedere un giudizio che fosse il più sincero possibile. Fra questi, Il Messaggero del Re, al quale aveva lavorato a lungo e con una continua opera di ritocco e correzione. Grazie a Laura Croce e ai giovani della compagnia del Teatro Everest, questo lavoro viene messo in scena, non solo con la passione che il gruppo mostra in tutte le sue produzioni, ma anche con quella di tutti noi che abbiamo trovato un’occasione unica e straordinaria per ricordare un grande amico.