Rossobruni forever: l’eterna miscela prismatica di nostalgici od orfani dei totalitarismi. Rivoluzionari da salotto e gerarchi da giardino

I tifosi del Milan, qui magistralmente tratteggiati da Abatantuono, non c’entrano niente. E’ un pretesto cromatico-editoriale per definire il cuore politicamente pulsante da destra a sinistra (andata e ritorno) di certe frange reggiane, giovani e vecchie, le quali, memori od orfane dei totalitarismi che furono, si trovano pur partendo da sponde opposte, sulla stessa, solita, stolida, inaffondabile barca antidemocratica

«Il nostro sistema politico non si propone di imitare le leggi di altri popoli: noi non copiamo nessuno, piuttosto siamo noi a costituire un modello per gli altri. Si chiama democrazia, poiché nell’amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza”. Pericle, discorso riportato da Tucidide

Con la mano ciao, ciao

Niente da fare, a volte ritornano, almeno nei contenuti, più spesso nei metodi. E ci troviamo in faccia una realtà che si credeva merce da esibire simbolicamente nelle commemorazioni tra un garrire di vecchie bandiere. Il repentino passaggio, 77 anni fa, dal fascismo al comunismo, armi e bagagli, nel giro di poche ore, delle nostre amate terre non è solo materia da ascrivere alle sottigliezze temporali od ai calcoli di precisi astrofisici. Ogni tanto si intuisce che il definitivo passaggio alla democrazia, quella in sostanza idelizzata da Pericle circa 4 secoli prima di Cristo, ha pure dei sesquipedali buchi neri storici da colmare.

Le parole di Giorgia Meloni, leader maxima di un partito, Fratelli d’Italia, che si vuole in irresistibile ascesa a contendersi la vetta del più gradito in un (poco) entusiasmante testa a testa col Pd, in quel di Marbella, tra i suoi amici dell’ultradestra di Vox, sono state di raro antiatlantismo, antieuropeismo, antiaperturismo culturale, di quello in sostanza che ha fatto sì che l’Occidente (inteso nella sua evoluzione culturale secolare) si stagliasse nettamente, nella storia umana, in fatto di giustizia, diritti, libertà, uguaglianza. Più vicine purtroppo ai contenuti dell’autarca, oligarca, dittatore Putin od all’omofobo Patriarca Kirill che non a quelle di un Draghi o di una von der Layen.

Dall’altro lato, nella scoppiettante e multicolor Reggio Emilia, che piange si fa per dire il recente scioglimento della band filobierre P38, già si pensa come consolazione ad una “Festa della riscossa popolare”, Carc edition, contro la Nato e tutti quegli organismi nazionale ed internazionali che non riconoscono nel simbolo della Falce e Martello (un flagello iconico che si contende con la svastica la palma dei più cruenti genocidi del XX secolo). Dove certamente garriranno bandiere putiniane, quelle con la Z, che i russi piantano da un paio di mesi a questa parte su ogni angolo dell’Ucraina devastata, bombardata, stuprata, ammazzata ma che loro sintetizzano con il verbo “denazificata”.

Niente da fare, rossobruni forever ed in fin dei conti partono da sponde opposte, quelle idelogiche rosse o nere che siano (dove non il benesse umano è il fine ultimo ma l’ottenimento dell’utopia di partenza) e confluiscono in una stessa dimensione, sempre la stessa, sempre lì. Criminale nella peggiore delle ipotesi, demenziale sempre e comunque. Tu chiamala se vuoi antidemocrazia.

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