Firenze – Il contrario delle lucertole è uno di quei libri che quando li abbiamo letti li mettiamo nello scaffale più vicino per poterli riprendere in mano e assaporarne gli aspetti evocativi. Perché il romanzo di Erika Bianchi (edito da Giunti) ha un iter narrativo fatto anche di sensazioni, di atmosfere, di sentimenti forti.
Si snoda su più piani temporali e dai giorni nostri percorre a ritroso una vicenda che nasce nel 1948 e che si ramifica in un insieme di storie personali e familiari. Storie che si snodano in varie località che non sono solo uno sfondo ma un riflesso di stati d’animo con un valore emozionale analogo a quello che potrebbero assumere in un film.
La vicenda inizia in Bretagna durante il famoso Tour de France nel quale Bartali compì un’impresa che oltrepassò l’ambito sportivo. Ma quella giornata segnerà anche la vita dei protagonisti del romanzo (Zaro), che era al seguito di Bartali e Lena una ragazza bretone) .
Storia d’amore che dura l’espace d’un matin e che assomiglia all’ansia d’infinito dei cieli del nord, quella luce che sembra uscita da un dipinto degli impressionisti. Poi la scena si sposta a Ponte a Ema con un contrasto particolarmente significativo tra i grandi spazi della costa bretone (quella di Dinard presso Saint Malo, delle impervie scogliere, delle maree) e un “angolo di mondo” della provincia fiorentina. Ponte a Ema appare alla piccola Isabelle, frutto di quell’amore fugace un piccolo mondo “senza mare e senza vento” dove “ il verde è troppo verde” e che le riserva un duro impatto.
Ma anche questo angolo appartato sarà denso di emozioni, di rapporti umani, punto di riferimento per la vita dei vari personaggi. Poi Parigi, Roma, Santorini e altre località ma alla fine sarà ancora Ponte a Ema il luogo dove tout se tient e dove comincia a sciogliersi il ghiaccio che premeva sul cuore.
La vicenda del romanzo si snoda in modo agile, ti spinge a leggere senza soste. Ma sono le atmosfere come la frase iniziale “le nuvole di giugno non se le fila nessuno” o quella che è riportata sulla copertina “Misurare i passi aggiustare il ritmo controbilanciare le oscillazioni. Un po’ come andare in bicicletta. Un po’ come “che avvincono, ti fanno riflettere e ti stimolano a riprenderlo in mano.
Abbiamo incontrato l’autrice Erika Bianchi giovane scrittrice che ha già al suo attivo un romanzo di successo (Sassi nelle scarpe) per cogliere alcuni temi significativi di questo libro
Romanzo amaro come è spesso la vita… ma non mancano sentimenti forti
Il contrario delle lucertole è un romanzo che, tra i tanti temi, insiste in modo particolare su quello dell’assenza. Assenza non in senso assoluto, di qualcosa che non si è mai conosciuto, ma piuttosto intesa come privazione di una cosa che prima c’era e poi scompare o ci viene sottratta. Il risultato di questa sottrazione non è mai un vuoto vero, ma uno spazio che contiene l’impronta di ciò che prima c’era, e perciò continua a far male. Il dolore che emerge dal romanzo è soprattutto di questo tipo. Ma i sentimenti e le dinamiche di relazione in gioco nel libro sono anche altri: l’amicizia, la sorellanza, l’amore in tutte le sue forme: romantico, filiale, genitoriale, travolgente, gioioso, tenero. E poi c’è, come in ogni vicenda umana, l’altra faccia della luna: la rabbia, l’orgoglio, la colpa, l’egoismo, la violenza.
La vicenda si volge su più piani temporali … possiamo definirla una saga familiare?
La definizione di “saga familiare” mi richiama immediatamente romanzi illustri e amatissimi, dai classici come I Malavoglia, I Buddenbrook e Cent’anni di solitudine a straordinari esempi della narrativa angloamericana contemporanea quali Le correzioni, Middlesex, La famiglia Winshaw, ai nostri Riccarelli e Mazzucco del Dolore Perfetto e Vita. Ne ho citati solo alcuni, ma in ognuno di questi romanzi, per quanto diversi, le vicende della famiglia che ne costituisce il centro sono amplificate al punto da farsi epopea collettiva, ed è in questo che sta la loro grandezza. Nel concetto di saga è compreso anche quello di racconto epico, e penso che non basti raccontare la storia di una famiglia per scrivere una saga, bisogna che ci sia questo respiro ampio, universale, senza tempo. Perciò non so se il mio libro si possa definire una saga familiare. Di sicuro i piani temporali sono disposti secondo un’architettura complessa, e la storia copre le vicende di quattro generazioni di una stessa famiglia.
Perché hai scelto questo titolo? cosa significa?
Il titolo definisce la distanza tra una delle caratteristiche principali delle lucertole – la capacità di lasciarsi strappar via la coda in caso di necessità, e di svilupparne una nuova in pochissimo tempo – e l’umana condanna all’irreversibilità dei pezzi perduti. Le mancanze, i vuoti e le amputazioni emotive di cui tutti facciamo esperienza nel corso della vita risultano impossibili da colmare; i pezzi che perdiamo non ricrescono.
Come è nato questo romanzo ? Da dove hai tratto la prima ispirazione? C’è un significato nella scelta di certi scenari quali la Bretagna, Ponte a Ema, Parigi?
Questa per me è una domanda sempre difficile, perché temo che la risposta possa irritare o deludere. Però non sono riuscita a inventarmi nessuna alternativa credibile, e quindi devo rispondere con la verità. Le mie storie nascono dai personaggi, nel senso che i personaggi precedono l’idea delle vicende narrate. Mi succede di essere “visitata”, dapprima con qualche timidezza, poi con insistenza, da una o più creature di fantasia, con tanto di nome e cognome, caratteristiche fisiche, nazionalità, idiosincrasie, temperamento. I personaggi mi nascono dentro compiuti e pieni di dettagli, testardi e tenaci, e quando l’insistenza si fa prepotenza, e poi assedio, sono costretta a cercare il modo di metterli insieme, a capire come possano incastrarsi l’uno con l’altro nello spazio e nel tempo, a trovare, insomma, una storia che li contenga con agio e verosimiglianza, nel rispetto del loro carattere, età, provenienza, mestiere. Zaro era un meccanico di biciclette toscano, lo era prima che lo collocassi nella storia, anzi la storia è venuta fuori così perché ho dovuto trovare il modo di inquadrare Zaro in un contesto che lo rispettasse e rispecchiasse come personaggio. Zaro era anche il padre eternamente latitante di una figlia cresciuta nel nord della Francia, Isabelle, concepita per sbaglio in una notte di passione con una ragazzina bretone. Perché bretone? Non lo so. Il personaggio si rifiutava di piegarsi a qualunque compromesso sulla sua nazionalità. Era bretone e basta, e chiedeva di entrare nella storia.
Come trovare un punto di contatto, un anello di congiunzione tra questi due personaggi così lontani, in un’Europa post-bellica in cui nessuno strumento del comunicare poteva ancora accorciare minimamente le distanze geografiche?
Ho studiato, ho pensato al Tour, mi è sembrata una buona idea. Poi sono andata in Bretagna, per la prima volta nella vita. Ci sono andata dopo aver concepito l’idea, non prima. Ci sono andata perché i miei personaggi mi tiranneggiano finché non li assecondo, finché non corro a vedere i posti a cui mi raccontano di appartenere. Sono luoghi che nella stragrande maggioranza dei casi non significano niente per me, finché non ne faccio esperienza grazie a loro. Gli scenari in cui si ambienta il romanzo non sono stati frutto di scelta, non non hanno alcuna funzione evocativa. Sono, direi, necessari, perché non potevano essere che quelli. Tutti noi siamo anche il frutto dei posti in cui siamo cresciuti, se fossimo stati bambini altrove non saremmo quelli che siamo. Questo vale anche per i personaggi. Precedono la storia portando tutto il loro bagaglio, anche geografico. La mia narrazione si aggiusta e si piega alla loro intransigenza.
Dalle vicende dei vari protagonisti uno spaccato della nostra storia dal dopoguerra ad oggi…
Sì, lo sfondo storico è molto importante in questo libro. I personaggi interagiscono con la Storia, sono figli del loro tempo (oltre che dei loro spazi geografici). Gli eventi sono narrati a ritroso proprio per indagarne meglio le cause. Nel primo capitolo, intitolato Epilogo, si alternano due voci, una che parla dal nostro presente contemporaneo, e una dal passato all’origine della vicenda narrata, il Tour de France del 1948. Per il resto, il romanzo procede all’indietro a partire da oggi: insieme ai personaggi, che invece di invecchiare ringiovaniscono, facendosi giovani adulti, ragazzi e poi bambini, ripercorriamo, sullo sfondo, alcuni degli eventi cruciali del passato più o meno prossimo: l’avvento di internet e il suo potere di azzerare le distanze, la cesura avvenuta con le elezioni politiche del ’94, la spettacolarizzazione del privato che inizia con la tv degli anni 80, il femminismo, i moti studenteschi del ’77 e del ’68. La Storia, tuttavia, non travalica mai i margini del punto di vista sulla vicenda privata, ma resta cornice e contenitore del vivere dei personaggi, vero centro del romanzo.
La bicicletta ha uno spazio significativo. Metafora della vita ma anche evocazione di un mondo mitico, quello del ciclismo epico
La bicicletta è uno dei temi portanti del libro, un fil rouge che lo attraversa da cima a fondo in vari modi e con vari significati. Ci sono le storie epiche degli anni di Coppi e Bartali, c’è il ciclismo amatoriale popolarissimo in Toscana, ma c’è anche la bicicletta come metafora della vita. “Andare in bicicletta non è altro che correggere un sistema di equilibri che si spezzano in continuazione, aggiustare il tiro e controbilanciare senza sosta le oscillazioni”, dice un personaggio nel primo capitolo. Ho giocato con la versatilità del mezzo a due ruote, il suo principio fisico che si adatta così bene ad essere letto in chiave filosofica, e il mondo leggendario che il ciclismo evoca.
Foto: Erika Bianchi