Il 25 maggio il vescovo Massimo Camisasca celebrerà una messa per il riconoscimento del martirio di Rolando Rivi da parte di Papa Francesco. Luogo del ringraziamento sarà la Pieve di San Valentino dove è custodita la tomba. Decisamente anacronistica ci appare oggi l’immagine del giovane con la tonaca nera e il cappello rotondo a larghe falde. Ci riporta alla memoria il battagliero don Camillo, più che un mite seminarista quattordicenne. Tanto determinato nel testimoniare la sua fede quanto coraggioso nel vestire l’abito talare in un contesto in cui “domani un prete di meno” bastava a giustificare il sacrificio di un innocente.
Di fatto, il martirio di Rolando ripercorre tutte le tappe della Passione. Deriso, spogliato delle sue vesti e condannato a morte nel bosco delle Piane di Monchio. Lo stesso rituale che portò alla morte diversi sacerdoti in terra reggiana, come don Iemmi e anche alcuni partigiani cattolici impegnati nei difficili mesi della lotta. Dinamica ben nota e resa pubblica dal Solitario. Rolando quindi icona di tutti quei martiri che prima e dopo la Liberazione, uomini estranei al valore della vita e della libertà, passarono per le armi. Eppure, Rolando non ha avuto da subito un ampio consenso nell’opinione pubblica reggiana e qualche diffidenza anche in ambito cattolico. La mostra “Testimoni della Verità nell’Italia in guerra” che venne allestita nel Palazzo del Capitano in città, fu motivo di critiche e prese di distanza. Ora, la decisione di Bergoglio dovrebbe provocare un non piccolo esame di coscienza. È ingiusto che degli innocenti, per essere stati vittime di un’ideologia piuttosto che di un’altra, siano tenuti ai margini della storia o volutamente dimenticati. O, che si parli di loro solo per creare nell’opinione pubblica eventuali dubbi sulla loro onestà.
Le prime celebrazioni a San Valentino, per sostenere il processo di beatificazione, raccoglievano il consenso di un ristretto gruppo. Una piccola famiglia fatta di persone semplici ma consapevoli che non si può guardare alla santità con criteri che siano puramente umani. I santi Crisanto e Daria che sono custoditi in Cattedrale vengono da una catacomba romana, hanno una bella storia, da romanzo, ma non ci tocca nel vivo tanto quanto la vicenda del futuro beato reggiano . Ora, con Rolando beato, una riflessione culturale (oltre che spirituale) di quanto la città sia stata pesantemente silente sulle vicende di un preciso momento storico, si impone. Sarà bene che uomini delle istituzioni e amministratori locali, preparino qualche sermone credibile in vista delle celebrazioni di rito per l’imminente beatificazione, perché di fronte alla santità ognuno fa esperienza della propria piccolezza e miseria se non riconosce la verità. È bene anche ricordare (le date di certe ricorrenze si intrecciano miracolosamente) che proprio il prossimo 25 maggio ricorre il centenario della nascita di don Domenico Orlandini “ Carlo”. Un sacerdote che fu il punto di riferimento della Resistenza cattolica col suo gruppo delle Fiamme Verdi. Un uomo che non esitò, per difendere il suo paese, a lasciare l’abito talare per indossare la divisa militare . Un eroe poco conosciuto, eppure furono i suoi partigiani a dare il lieto annuncio della Liberazione. Fu un personaggio ingombrante don Carlo. Ritornò sulle sue montagne a guerra finita per mettersi a servizio della sua gente con umiltà e fino alla morte. La sua battaglia fu quella di salvare quante più vite possibili e soprattutto cercò di difendere i cattolici nella Resistenza e dalla Resistenza. Tanti ne salvò, ma non poté fare miracoli.
Daniela Anna Simonazzi