Pisa – C’è un momento nella collaborazione tra uomo e robot che ha più importanza rispetto ad altri: è quando i due “sistemi” sono chiamati a passarsi un oggetto e, quindi, a coordinarsi in modo efficace. Com’è possibile rendere più naturale questa interazione?
La risposta arriva dallo studio “On the choice of grasp type and location when handing over an object”, pubblicato sulla rivista Science Robotics da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’ARC Centre of Excellence for Robotic Vision (Queensland University of Technology di Brisbane), che ha permesso di scoprire i principi guida che regolano la scelta del tipo di presa durante lo scambio di oggetti e che favoriranno la cooperazione tra un sistema robotico e una persona.
Lo studio ha analizzato il comportamento di una persona quando deve afferrare un oggetto e quando, invece, lo deve consegnare a un altro individuo. I ricercatori hanno notato come la presa varia a seconda del tipo di azione compiuta: se una persona deve eseguire un’azione che non presuppone alcuna forma d’interazione, la presa sarà diversa rispetto a quando invece si deve passare un oggetto. In quest’ultimo caso infatti una persona tende a usare una presa di precisione lasciando libere le estremità dell’oggetto stesso. Questo gesto, di natura puramente intuitiva, facilita in realtà la ricezione dell’altra persona che non deve compiere prese innaturali per afferrarlo.
“Ci siamo accorti – spiega Francesca Cini, studente Phd dell’Istituto di BioRobotica e prima firma del paper – che negli studi che regolano le modalità attraverso cui un robot deve afferrare un oggetto, c’è poca attenzione al passaggio successivo, ovvero al modo in cui l’oggetto viene utilizzato dal robot. Questo aspetto invece è di fondamentale importanza nella cooperazione tra due sistemi e, di conseguenza, tra uomo e robot. Vi faccio un esempio: quando passiamo un cacciavite sapendo che il nostro interlocutore lo dovrà utilizzare, lasciamo il manico libero in modo che egli possa afferrarlo e utilizzarlo facilmente. Non solo quindi cambiamo il tipo di presa ma consideriamo anche come il nostro compagno dovrà utilizzare l’oggetto. Sono proprio queste informazioni che vogliamo trasmettere ai robot”.
L’obiettivo infatti è trasferire su un sistema robotico tutti questi principi guida che permetteranno di selezionare correttamente il tipo di presa e di facilitare di conseguenza lo scambio di oggetti.
L’impatto di questo studio apre nuovi scenari di innovazione tecnologica, portando benefici in vari settori sociali dove è ormai consolidata la collaborazione uomo-robot. Si pensi ad esempio al campo industriale, in cui si potranno ottimizzare le varie fasi di produzione; o nei percorsi riabilitativi dove i robot potranno coadiuvare il paziente sfruttando una comunicazione più naturale ed efficiente.
“La robotica collaborativa – commenta Marco Controzzi, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica e responsabile dell’Human-Robot Interaction Lab – rappresenta la prossima frontiera della robotica sia industriale che domestica, ma perché si realizzi è necessaria una nuova generazione di robot pensati per interagire con l’uomo in modo naturale. Questi risultati ci permetteranno di istruire i robot ad agire come un collaboratore umano attraverso l’introduzione di regole semplici ma al contempo efficaci, nella manipolazione degli oggetti durante azioni congiunte con l’uomo.”
“Afferrare e manipolare un oggetto sono considerate azioni intuitive e semplici per noi esseri umani – spiega Valerio Ortenzi, ricercatore presso l’ARC e co-autore dello studio – In realtà non è così. Con questo studio cerchiamo di gettare una luce sul comportamento degli esseri umani mentre interagiscono tra loro”.
“La manipolazione del mondo reale rimane una delle più grandi sfide nel settore della robotica – aggiunge Peter Corke, direttore dell’Australian Centre for Robotic Vision – Questa collaborazione di ricerca con la Scuola Superiore Sant’Anna costituisce una partnership vitale verso il nostro obiettivo di superare l’ultima barriera alla progettazione di robot veramente utili per la società”.