Ritorno del fascismo: il lato oscuro dei problemi contemporanei

Firenze – Tra i molti pregi, prima di tutto la bellezza dei paesaggi, delle opere d’arte e del patrimonio architettonico, l’Italia e gli italiani hanno anche vari difetti, il più vistoso dei quali a mio modo di vedere è la memoria piuttosto labile a cui talvolta si accompagna, peggiorandone gli effetti, un’indifferenza di natura essenzialmente opportunistica, anche se non sempre e necessariamente per trarne un qualche vantaggio, magari solo per una sorta di pigrizia della mente e della coscienza.

Questo aspetto del carattere di un numero non indifferente di connazionali dovetti scoprirlo negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale, allorché fu reso possibile ricostituire un partito che in un modo neppure tanto mascherato si richiamava al fascismo, cioè a coloro che avevano ucciso o incarcerato gli avversari politici, instaurato la dittatura, gettato il Paese nella bolgia infernale della guerra.

Il fenomeno pare in qualche modo ripresentarsi oggi, a molti decenni di distanza, pur se ovviamente sotto altre forme (bisogna inoltre stare attenti a non fare di tutta l’erba…un fascio), incrementato e reso più visibile dalla contingenza elettorale.

Altri modi e altre forme, ho appena detto. I richiami espliciti al fascismo in relazione alle problematiche attuali, a ciò che ci affligge e ci inquieta non sono frequenti, ma purtroppo non mancano. Rispetto ad essi l’opinione pubblica mostra di voler reagire, pur se non sempre la reazione avviene nei modi dovuti e consentiti in un regime democratico. Quel che manca, spesso, è l’intervento delle autorità costituite cui spetta il compito di applicare la legge che vieta tassativamente la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

“Il fascismo eterno è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili” – scrisse Umberto Eco quando era ormai al crepuscolo della sua vita. E poi proseguì: “Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè la vita non è così facile. Il fascismo eterno può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme.”

Una di queste potrebbe consistere nella ricerca di soluzioni autoritarie ai principali problemi che affliggono i popoli e le nazioni in questo nostro presente per molti versi confuso e incerto, prospettiva che trova non pochi referenti nel contesto internazionale. Quest’ultimo è probabilmente l’aspetto più preoccupante, insieme alla inconsistenza della progettualità politica di quella che dovrebbe essere la nostra classe dirigente. Basta volgere lo sguardo a quanto accade in alcuni importanti paesi stranieri e alla pochezza che caratterizza il confronto politico interno per rendersi conto che c’è poco spazio per l’ottimismo.

Qualche tempo fa, sempre a proposito dei problemi più impellenti di questo nostro presente (inoccupazione diffusa tra le giovani generazioni, precarietà e scarsa remuneratività del lavoro, accentuata fragilità del sistema ambientale, improcrastinabili interrogativi da porsi e altrettanto improcrastinabili risposte da dare ai fenomeni migratori che sempre più spesso assumono le caratteristiche di un vero e proprio esodo di popoli) mi venne spontaneo condensare in una parola quello che mi appariva come inappropriato o insufficiente ai fini di una corretta impostazione delle tematiche più stringenti.

Questa parola era Insignificanza, scritta proprio con la I maiuscola, come a voler stabilire una sorta di diritto d’autore. Per onestà intellettuale devo ammettere che i ragionamenti sulla base dei quali arrivai a marcare proprio quella parola tra le tante del vocabolario, non erano particolarmente brillanti ed acuti. Invocai una sorta di indulgenza prioritaria e me la cavai press’a poco così: “Crediamo che non ci sia bisogno di un grande lavoro di ricerca e di approfondimento per arrivare a questa conclusione: un’osservazione superficiale è sufficiente per accorgerci che gran parte di ciò che si muove attorno a noi è privo di un significato suo proprio e riconoscibile. Quando e se un significato alla fine si intravede, ciò avviene per un fenomeno che potremmo definire “di rimbalzo”, cioè per un effetto del tutto spontaneo, indipendente da qualsiasi volontà.”

Probabilmente intuendo che un simile ragionamento non bastava a spiegare il senso che volevo attribuire ad una singola parola, allargai il discorso agli attuali sistemi di produzione e ai nuovi prodotti che oggi vanno per la maggiore, ossia tutto ciò che ruota attorno alle nuove strumentazioni elettroniche, ai social network e annessi e connessi, insomma a tutti quegli strumenti che coinvolgono e condizionano sempre più la vita di tutti noi e da cui ha preso forma e sostanza un nuovo tipo di capitalismo, ancor più accentuatamente monopolistico e globale quanto meno concretamente configurabile, a differenza del vecchio capitalismo “manifatturiero”, a dimensione locale o al massimo nazionale, frutto di lavoro organizzato sistematico, di combinazioni societarie, di fatica, sudore e sangue.

Quel che voglio dire con tutto questo ragionamento un po’ astruso e con un sottinteso tutto sommato ovvio se non proprio banale è che tutte le riflessioni sul fascismo vanno contestualizzate, poste in relazione con le principali problematiche contemporanee. Non basta cioè la presa di distanza e la denuncia, occorre prendere di petto le situazioni contingenti che inquietano l’opinione pubblica e prospettare le possibili soluzioni.

E’ vero che demagoghi e populisti trovano spesso terreno facile promettendo soluzioni solo apparentemente semplici e a portata di mano, ma anche questa è una ragione in più per misurarsi con intelligenza e spirito realistico sui problemi concreti delle persone. Accantonare i problemi, sminuirne, per un pregiudizio buonista, la portata e le conseguenze è il miglior regalo che si può fare a chi se ne serve per guadagnare consensi.

 

 

 

 

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