Ritorno agli anni ’70 (o meglio solo al loro grigiore)

“Plus ça change, plus c’est la même chose”, scriveva, in un momento particolarmente poco sulfureo per la sua terribile ed arguta penna, il francese Jean Baptiste Alphonse Karr all’apertura del numero del gennaio 1849 del suo settimanale satirico “Les Guêpes” (Le Vespe): più le cose cambiano, più restano le stesse. A quasi due secoli di distanza questa frase è ancora (ancora? Mai come oggi) capace di farci riflettere: intanto, sulla disgrazia che vivono i nostri tempi, privi di vera satira, nei quali l’arguzia della critica al vetriolo è stata rimpiazzata dallo sberleffo cattivo, dallo sputtanamento acrimonioso, complottista, dietrologo, paraculo di chi oggi te ne dice di ogni, domani ti mangia in mano; poi sul fatto che, col nuovo che avanza, il cuore oltre l’ostacolo, il progresso, la tecnologia, la generazione X, ebbene, abbiamo fatto un largo giro e giureremmo che quell’albero lo abbiamo già visto prima.

E’ il sentiero che Frost aveva imboccato perché era il meno battuto e ha fatto la differenza, per un po’. Poi, volete ridere? Tornava a raccordarsi esattamente con quell’altro. Abbiamo svoltato il 2010 e ci siamo ritrovati nel 1970. Capisci che siamo negli anni ’70 da tutta una serie di particolari niente affatto trascurabili. Vedi gli album Panini dei calciatori nelle vetrine delle edicole, vedi Rakam e le riviste di taglio cucito e ti risuona nelle orecchie il rullìo della macchina da cucire di casa, mai ferma. Ma non è quella di casa tua: è quella delle centinaia di calabresi, di cinesi, di marocchine che si sono ingegnate sul come sbarcare il lunario e adesso vivono, come le nostre mamme, onestamente di riparazioni e aggiunte, piccole officine domestiche che lavorano per la pagnotta con quel minimo di nero che è poi il sangue di ogni famiglia italiana che si rispetti e col quale siamo tutti cresciuti robusti.

Siamo negli anni ’70 a giudicare dalla inverosimile quantità di réclame di yogurt che fanno benissimo, di pannolini, di dentifrici, di auto utilitarie che impestano i nostri piccoli schermi, l’unica cosa che un po’ ci manca è la molecola del Gardene, quella che a partire dalla magica sostanza Gardol sbiancava i nostri denti e ci spuntava un fiore in bocca; poi abbiamo capito che alla fine a sbiancare i denti è il comune sale e oggi guardiamo con rinnovata fiducia ai consigli dei nostri autolesionisti medici dentisti. Come negli anni ’70 è tornata la donna con le forme, anche se all’epoca era per un bel mangiarino grasso di quello che avrebbe fatto piacere alle nostre nonne e oggi al contrario è composto perlopiù da aperitivi e pasti precotti supercalorici; ma basta non far caso alla cellulite sulle cosce delle sedicenni e l’illusione è perfetta. Poi gli autunni caldi sui quali poggiare le successive fregature epocali di operai che lavorano ancora solo perché siamo praticamente il Terzo Mondo della manodopera dei Paesi ricchi, così possono avere qualità e prezzo allo stesso tempo; uguali a quelli di quaranta, cinquant’anni fa, coi sindacalisti che pian pianino assurgono alle vette della politica e di lì si siedono, scrivono un paio di bei libri e poi tutto tace.

Riconosci gli anni ’70 nel grigiore assoluto dell’informazione, a strascico, precotta, a titoloni, e nella bellezza rutilante, nella poesia dei fumetti, mai così fantasiosi ed emozionanti come quando c’è una crisi morale e materiale che impazza. Li riconosci nei gruppi musicali in cartellone dappertutto, addirittura al Campo Volo, la stessa musica, le stesse facce (solo con sei etti di rughe in più), le stesse ascelle, e tutt’intorno musica a tratti sublime, a tratti di merda, e tanto entusiasmo per la sperimentazione e la stessa morte per inedia che vi si accompagna, mentre il disco in vinile ancora fa capolino dalle vetrine. Nel terrorismo ancora sulle prime pagine dei giornali, come al solito di matrice e di spunti, scopi e finanziamenti assolutamente politici, bieco nelle sue motivazioni, banale e agghiacciante nei suoi metodi e atroce nella sua logica diciamo così di cassetta, che tanto bene fa all’informazione alta e bassa, di cui peraltro si nutre e con la quale prospera.

Nei libri strappalacrime melensi e vomitevoli dei soliti raccomandati delle tribune letterarie e dei concorsi, eccoli qui, gli anni ’70; nelle trasmissioni di cucina e nei teleromanzi Rai dalle stesse identiche pellicole di allora, tirate al risparmio, luci scene celluloide sceneggiature attori, negli stessi libri di scuola di mezzo secolo fa per le vacanze, nel rito stanco della Democrazia Cristiana unita in un abbraccio mortale (per gli altri) coi socialisti al governo e nelle opposizioni che smenano smenano ma poi voglio solo la gestione di qualche canale televisivo, i voti dagli scontenti e un posto ben retribuito, nei furti delle biciclette, nel ritorno della moda di cani come i King Charles, i cocker ed i volpini, nelle notizie agostane delle suocere spianate col martello, nelle vacanze in Riviera pagate a rate, nelle passate di pomodori in appartamento, nel caldo assoluto delle finestre aperte fino a notte fonda che invogliano volonterosi ladruncoli e lasciano filtrare la luce azzurra di tante, tantissime televisioni accese giusto così, un po’ per farci compagnia e rincuorarci nel nostro segreto timore di essere tornati indietro nel tempo ma, purtroppo, senza affatto ringiovanire. Con l’unica certezza che ai telefoni grigi non si torna più.

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