Firenze – Crescono le preoccupazioni nei blocchi abitativi di via Accademia del Cimento. Ieri, nel corso di un’assemblea aperta convocata i segretari degli Inquilini, Laura Grandi del Sunia e Pietro Pierri dell’Unione Inquilini, l’aria che tirava era densa di preoccupazioni e domande inevase. Non bastano infatti agli inquilini le rassicuraizoni del Comune e di Casa spa, di fronte alla prospettiva di dover traslocare armi e bagagli, sia pure per un tempo che dovrebbe essere ben determinato, dal momento che la riqualificazione di cui dovrebbero essere oggetto i 3 blocchi di case popolari interessate dall’operazione si sostiene con le risorse del Pnrr e del super bonus. Risorse che verranno corrisposte solo se i lavori termineranno entro i tempi dichiarati. Per la riqualificazione generale, che interessa circa 160 famiglie, il 2026 è la data oltre cui non si può sfondare.
“Il problema è molto più complesso di quanto si possa prospettare in teoria – dicono Pierri e Grandi – e servono risposte il più possibile concrete rispetto alla prospettiva di dover abbandonare alloggi che sono spesso il punto di riferimento di una vita. Traslochi, utenze, cronologia, dove verranno “appoggiate” le famiglie, se il rientro è davvero garantito alle condizioni esistenti, ma anche la consistenza dei lavori e le modalità, sono tutte domande che dovrebbero avere risposte certe, al di là dei colloqui per famiglia che l’amministrazione intende avviare già da oggi”.
“Noi siamo favorevoli alla riqualificazione e ristrutturazione dell’Erp – concludono Grandi e Pierri – avere attenzione alla qualità degli edifici pubblici e intervenire, sono buone notizie, come il fatto che finalmente ci siano risorse certe. Si tratta però di trovare le modalità giuste per contemperare i sacrifici richiesti agli assegnatari e le novità positive che giungono con la disponibilità di fondi del Pnrr e del super bonus”.

Ciò che fa la differenza, sono le storie delle persone e delle famiglie che abitano, alcune anche da trent’anni, i blocchi. Intanto, l’età media è piuttosto alta, il che singifica, come dice Franco, over 80, “come faccio ad allontanarmi da una casa in cui ho vissuto tutta la vita, che conosco, su cui ho speso le mie risorse di pesnionato per renderla adatta ai miei acciacchi, magari con la prospettiva di non potere più tornare? Ho investito, vissuto, modificato nella ragionevole aspettativa che qui avrei chiuso gli occhi. Ora, senza sapere ne’ dove ne’ come, mi si chiede di fare un pacchetto della mia vita e portarla un po’ più in là. Non credo che nessuno abbia valutato ciò che vuole dire”.
Se questo è Franco, una residente è più esplicita. “Siamo 5 in quattro stanze – dice – mio marito e io siamo pensionati, i nostri due figli e mia nipote che ora ha vent’anni. Devo spostare mobili e oggetti, lasciare vuoto un appartamento su cui abbiamo fatto migliorie senza sapere esatamente nè dove andremo, ne’ quando torneremo, nè se poi possiamo riutilizzare mobili e altro. Ci lasceranno nuovamente nello stesso, con la nostra necessità di spazio? Chi pagherà e farà materialmente il trasloco?”.
Ma non sono solo questi i problemi. C’è una famiglia che ha un portatore di handicap grave in casa e ha dovuto modificare tutto l’alloggio, compreso l’ascensore, per consentire alla carrozzina di passare. Dove saranno spostati, le modifiche saranno già fatte? E se no, dovranno essere rifatte? Chi paga? Non solo. Ci sono persone invece con disagio psichico, a cui lasciare la casa dove hanno raggiunto un fragile equilibrio di vicinato e confidenza potrebbe costare moltissimo. Qualcuno invece ha situazioni non ancora sanate, invisibile per tutti ma non per le utenze e l’affitto, che paga regolarmente, 500 euro di canone a fronte di 300 euro di assegno sanitario, tutto il suo reddito. E che dire dei profughi greci che dopo aver ricostruito la propria vita sullo tsunami che travolse quella dei genitori, senza aver avuto informazioni quando potevano riscattare casa comprandola, si sentono ricacciati di nuovo nel ghetto del senza alloggio, a cui viene tolto tutto ciò che ha ricostruito. Ancora una volta, in un ciclo infernale.
E poi, problemi pratici cui nessuno sa dare risposta. Ad esempio, verranno spostate anche le residenze? Le utenze? Ma ciò che intimorisce e spaventa, è la genericità dei comunicati. “All’assemblea precedente, dove c’erano l’assessora alla casa e il presidente di Casa spa, le domande sono rimaste senza risposta – dice Laura, una residente dei blocchi – persino circa la natura dei lavori. Ad esempio, si è parlato di rafforzamento e nuovi piloni, oltre ad un eventuale cappotto per le facciate. Ma perché, mi chiedo, se bisogna semplicemente far passare un pilone in una stanza, è necessario sgomberare tutta casa? Per quanto mi riguarda, preferisco vuotare la stanza dove passerà la struttura e magari accomodarmi su un materasso con la mia famiglia, prima di lasciare la casa. E nel caso dovessi proprio lasciarla, perché vuotarla tutta? Non potrei prendere solo lo stretto necessario, la camera da letto mia e dei bambini ad esempio, senza spostare altre cose, piacevoli nella prospettiva di un soggiorno indeterminato, ma inutili in un’abitazione temporanea, come il divano?”…
Timori e sensazioni di essere ruote di un ingranaggio ben poco comprensibile portano qualcuno anche a posizioni estreme, come chi sta decidendo che non si muoverà. “Mi devon portar via con la gru”, dice un anziano, giunto in queste case negli anni ’70. “Sono qui da sempre, ho visto le strutture piombare nel degrado, al posto del bellissimo giardino che avevamo con i giochi per i bambini siamo giunti a questa sorta di landa selvaggia. Ora ci vogliono anche spostare dall’oggi al domani e per me sarà difficile rivedere la mia casa, con l’età che ho. E’ una scusa per portarci via e cambiarci assegnazione e sistemazione. Io non mi muovo”.
Un altro gruppetto di donne lancia un’altra informazione urticante: fino ad agosto scorso le strutture, a un carotaggio che era stato fatto sui piloni portanti, avevano rivelato di essere ancora solide. “Improvvisamente tutto cambia – dicono – e serve la riqualificazione. Come mai? Sono arrivati i soldi e quindi bisogna spenderli, o in mancanza di risorse non c’era neanche pericolo di instabilità? Oppure c’era ma non conveniva dichiararlo?”. Insomma le cose si ingarbugliano. Intanto, anche la modalità di chiamare famiglia per famiglia desta sospetto: “Perché non ci chiamano a gruppi, magari le prime 16 famiglie in un turno e poi via via? Forse è più facile dividerci e trattare con nuclei separati?…”. Infine, la questione di Torre degli Agli, a pochi metri, non concorre certo a rassicurare: “Abbiamo visto com’è andata – concludono le donne – dovevano stare nelle casine di legno per pochi mesi e sono dieci anni….”.