Firenze – Trent’anni di autogestioni, un primato costituito da 270 “cellule” nell’area metropolitana fiorentina, un percorso che parte da lontano e può diventare strumento di una vera scommessa per il futuro.
Le autogestioni fiorentine, vale a dire una sorta di comitato costituito dagli stessi assegnatari dei “blocchi” popolari che si occupano della gestione della struttura in cui risiedono, sono diventate nel tempo un vero e proprio oggetto di studio, soggetto di tesi e argomento di discussioni sociologiche. Il perché è evidente: non solo le autogestipni fiorentine sono moltissime, ma continuano ad assolvere alla loro primaria funzione di momento di responsabilizzazione collettiva sull’uso di ciò che è di fatto “cosa pubblica”.
“La prima autogestione nasce nel 1988 – ricorda Laura Grandi, segretaria del Sunia regionale – l’idea parte dalla nostra associazione grazie a un grande segretario, Adolfo Corti, che credeva in modo assoluto nella” mission” dell’edilizia popolare come “ascensore sociale” per i lavoratori”.
Insomma, l’autogestione nasce come addentellato naturale del principio che, tramite l’assegnazione, i lavoratori liberano reddito che può essere impiegato, ad esempio, per fare studiare i figli. Una funzione sociale dell’Erp che chiama a gran voce quella dell’assunzione nelle proprie mani della gestione della casa in quanto diritto da un lato e dall’altro possibilità di partecipare in prima persona all’amministrazione della “res pubblica”.
“Un principio che, nel 1988, appariva rivoluzionario. Era come dare certezza che “gli ultimi” potevano tranquillamente, con le loro forze, costruire non solo gestione amministrativa, ma anche un blocco sociale significativo all’interno del sistema casa pubblica”. In altre parole, da oggetto si trasformavano in soggetto.
“Uno strumento che torna in auge proprio ora, sebbene i problemi siano cambiati con lo scorrere degli anni. E, come se si fosse chiuso un grande cerchio, dopo trent’anni torna ad emergere con forza il grande significato dell’autogestione come “ascensore” proprio nel senso di “risparmio di reddito” capace di rilanciare la mobilità sociale”.
Le autogestioni, ricorda ancora Grandi, partirono dalle Piagge, da Campi Bisenzio, e dopo i difficili inizi, cominciarono ad attecchire espandendosi sempre di più: gli immobili in autogestione si distinguevano, curati, meno litigiosi. Così cominciarono a fioccare le richieste, in dieci anni arrivarono a oltre 200 le autogestioni nel Lode fiorentino. Ora sono 270.
Il punto, ora, è stabilire come mai le autogestioni “funzionano” a livello di Lode fiorentina mentre stentano al di fuori, in particolare fuori dalla Toscana, pur essendo previste a livello legislativo.
“Come spesso ho ricordato – dice Grandi – sul nostro territorio si sono avverare una serie di condizioni in contemporanea. Da un lato, la determinazione del sindacato, che ha fortemente spinto in questa direzione, dall’altro la presenza in particolare agli inizi, di assegnatari che arrivavano dalle lotte operaie e dal mondo dell’associazionismo. Inoltre, fu ed è prezioso il ruolo dell’ente gestore, prima Ater e ora Casa spa, che forniscono supporto anche a livello di fondi, una piccola somma di denaro proporzionale al numero di vani in autogestione che serve per manutenzioni e non solo. Ancora, la creazione di un ufficio ad hoc, il ruolo della stessa autogestione che subentra in caso di morosità dei condomini, oltre naturalmente alla legge regionale che prevede e sostiene lo strumento”.
In area metropolitana inoltre sono ben 150 le autogestioni che si appoggiano alla Polis, ovvero alla società del Sunia che si occupa di gestioni immobiliari e che esercita la funzione di consulente di sostegno.