Firenze – “Non abbiamo potuto fare diversamente”. E’ questo il concetto, se non le parole, che esprimono il gruppo di rifugiati che, dopo anni di precarietà e promesse, dopo il rogo in cui è morto il 46enne Alì Muse in una struttura industriale a Sesto Fiorentino loro ultimo rifugio, dopo occupazioni e sgomberi in questi ultimi dieci anni, dopo un rifugio temporaneo al palazzetto dello sport di Sesto, e dopo proposte sempre temporanee a per piccoli gruppi fatte dai vari Comuni della cintura fiorentina e da Firenze, stamattina hanno occupato un immobile in viale Don Minzoni di proprietà dei Gesuiti. Un immobile vuoto da cinque anni.
E’ Lorenzo Bargellini, storico leader del Movimento di Lotta per la Casa che sostiene da sempre la lotta di questo gruppo di rifugiati, a specificare che l’intenzione non era quella di occupare e che la protesta non è certo contro i Gesuiti proprietari dell’immobile, ma che, dopo le proposte delle amministrazioni pubbliche che davano soluzioni sempre temporanee e per giunta per piccoli gruppi divisi, non c’è stata scelta. Perché queste persone da tanto, troppo tempo sono nella completa precarietà abitativa ed esistenziale.
Una scelta che, spiega il Movimento in una nota pubblicata su Fb, ha anche lo scopo di dimostrare alle istituzioni che, a fronte di decine di immobili inutilizzati a Firenze, una soluzione non temporanea e non precaria è possibile. “Chiediamo che le istituzioni regolarizzino la nostra permanenza qua o in un luogo analogo, in cui poter abitare stabilmente, senza scadenze e senza il ricatto degli sgomberi e dell’art5″, scrivono i protagonisti di questa lunga odissea, che aggiungono: “Le istituzioni devono fare i conti con il nostro rifiuto di vivere nella precarietà di un’emergenza permanente, perché una casa vera e dignitosa è indispensabile per una vita degna, tanto per noi quanto per le tantissime persone e famiglie che sono in difficoltà”. Una posizione che, dicono ancora, dovrà essere tenuta in conto quando il prossimo Comitato per l’ordine e la sicurezza si riunirà. E lanciano anche il principio della requisizione, perlomeno a fronte di situazioni bloccate. “Come la nostra” concludono.
Secondo le notizie che provengono dalle amministrazioni comunali, altri dieci somali del gruppo degli 80 che vivevano nella struttura industriale dell’ex-Aiazzone sono rimasti al Palazzetto dello sport di Sesto, quattro avrebbero accettato le sistemazioni provvisorie presso altri comuni, mentre un uomo che possedeva un permesso per il soggiorno in un paese scandinavo ha preso il volo verso la destinazione del Nord Europa. La polizia è sul posto.
Intanto, la polizia è giunta sul posto.