Firenze – Riders, chi sono costoro? Gira rigira, la domanda di fondo è questa. E se alla fine lo scopo è quello, in tutti i rapporti che tendono ad essere impari come quelli fra lavoratore e datore di lavoro, di riequilibrare il più possibile il rapporto di forze, la questione dei riders o ciclofattorini rimane una fra le più complesse del mondo del lavoro. Come del resto ha toccato con mano la stessa commissione parlamentare che ha cercato di mettere, in un percorso che dura da oltre un anno, un punto sull’organizzazione di questo settore.
Sul tema, il 7 ottobre scorso, si è tenuto un seminario, organizzato dalla Nidil Cgil Firenze, con la presenza di tre parlamentari che fanno parte della commissione che ha sovrinteso alla realizzazione dell’accordo trovato in Senato, vale a dire Debora Serracchiani del Pd, Francesco Laforgia di LeU, Jessica Costanzo di M5s, oltre a numerosi riders, sia fiorentini che di altre città. Sotto la lente d’ingrandimento, l’accordo trovato dalla maggioranza in Senato, dopo oltre un anno di percorso.
“In merito all’accordo di maggioranza trovato in Senato, ci sono dei passi in avanti in particolare sul superamento della paga a cottimo e le tutele del lavoro subordinato per chi collabora in maniera continuativa, ma questa norma rischia di essere inapplicata visto che le piattaforme ormai usano solo collaborazioni occasionali. Chiediamo un tetto alle collaborazioni occasionali e l’estensione dei versamenti contributivi, proprio per evitare la via di fuga delle piattaforme come ha deciso di fare Just Eat in questi giorni”, ha sintetizzato Ilaria Lani di Nidil Cgil Firenze
Ma ciò che è emerso nel corso del seminario, è in buona sostanza una riflessione sulla nuova economia, la cosiddetta Gig economy, basata sulle piattaforme on line. Una forma di lavoro che è in avanzamento progressivo e che mette in discussione, a ben vedere, il concetto stesso di lavoro e lavoratore. Del resto, la prima, grande frattura che la sala ha rivelato è proprio quella fra gli stessi riders. Infatti, alle richieste di buona parte del mondo dei ciclofattorini, (in sintesi, il ricnoscimneto di lavoro subordinato, vale a dire maggiori tutele, diritti alla malattia, copertura infortuni, ferie, riconoscimento straordinari….) una parte, sebbene minoritaria, degli stessi riders si sfila. E dichiara nero su bianco che preferisce il “cottimo”, in quanto capace di “liberare” da legacci e impacci, lasciando il “libero professionista” libero di scegliere quante ore lavorare, per raggiungere il salario da lui ritenuto adeguato.
Quanti sono, e quali sono le motivazioni per “rifiutare” di partecipare a una battaglia che sembra solo rivendicare i diritti base di ogni lavoratore?
Sulla quantità, i numeri potrebbero essere vicini a una quota pari al 20% della platea totale. Ma è sulle motivazioni, che la riflessione si fa interessante. Infatti, nel seminario tenuto la settimana scorsa, i rappresentanti della frangia “cottimista” partono da un presupposto: “Siamo liberi professionisti”. Il che significa che la regolamentazione dei diritti dei lavoratori rischia, per i dissidenti, di “diventare una maglia troppo stretta”, che impedisce la libera espressione della volontà di lavorare più ore, tante ore, una montagna di ore per guadagnare di più. Quanto di più? Per i cottimisti, ovvero coloro che ritengono che il cottimo sia la faccia naturale di questo lavoro, si arriva anche a 3mila euro il mese. Per i “regolamentatori”, che preferiscono una regolamentazione vicina al contratto di lavoro subordinato, la cifra è fuori dalla portata della maggioranza degli operatori, a meno di non lavorare 50-60 ore senza interruzione, 7 giorni su 7, per un mese. Certo, ma se uno vuole farlo? … Il vero problema, come rilevano alcuni dei presenti, riders anche loro, è proprio sulla scelta, “solo apparentemente ” libera. Perché tale scelta non è neutra, ma impatta, limitandola, sulla libertà altrui, a sua volta, di scegliere. Da un punto di vista sociale poi la responsabilità è ancora più grave: togliere diritti significa toglierli al lavoro. E, si aggiunga, togliere diritti al lavoro è anche togliergli identità e ruolo. Alla fine, è comprensibile che chi lavora non si ritenga più “lavoratore”. Insmma la gig economy rischia davvero di disarticolare e far scomparire la parola lavoro prima che dalla nostra vita, dai nostri cervelli.
Tornando al lavoro dei riders, come risulta dalla discussione in sala, è la sua stessa natura a sfuggire di mano, ponendosi in un campo nuovo di cui è difficile dare definizioni. E la sua espressione più coerente sembra senz’altro il cottimo. Lavoro a cottimo significa che il lavoratore viene retribuito in base alla quantità di lavoro prodotto, non a tempo. Ma il lavoro dei riders dipende tuttavia completamente, nella sua organizzazione modalità e temporalità da un “altro”, datore o padrone, come si vuol chiamare. Ma allora l’attività di riders deve essere considerata lavoro subordinato, e come tale regolamentata? E’ il problema che si pone la significativa sentenza della Corte d’Appello di Torino, la 26/2019, che recupera una forma intermedia della dicotomia classica fra lavoro autonomo e lavoro organizzato, un tertimu genus: quella delle collaborazioni etero-organizzate. Vale a dire: posso liberamente accettare una forma di collaborazione le cui modalità attuative e temporali non ho condiviso. Insomma accetto o lascio, la mia “libertà” si esaurisce in questo unico passaggio.
E la platea dei lavoratori presenti al seminario rispecchia la complessità del tema. Così, nel dibattito, si passa da chi ritiene che il cottimo sia un forma di sfruttamento assolutizzante della propria vita, a chi invia lettere al legislatore dichiarando che la scomparsa del cottimo sarebbe la morte del settore. A ricordare la dicotomia che fende la platea degli operatori è la parlamentare Costanzo (M5S) che ha seguito sin dall’inizio il percorso per giungere alla regolamentazione. Intanto, rileva Costanzo, a un ‘analisi finale le paghe dei riders sono simili a quelle della raccolta di pomodori, così come la creazione di “una sorta di enorme caporalato digitale”. Fra i dati distintivi, anche l’immediatezza, altro aspetto comune col pcaporalato, altro elemento caratterizzante la fattispecie in esame. Un’altra spuntatura che colpisce, è la questione del controllo. Dice Costanzo: “C’è qualcuno che controlla l’algoritmo in grado di vedere la velocità media di consegna, lo storico delle commissioni, la carriera digitale”, anche al di fuori dell’attività, in quanto l’applicazione del famoso algoritmo, risulterebbe essere sempre attivo.
Per capire il problema, ripropone Costanzo: “Chi decide quando e come svolgere la propria prestazione? Sono le persone?”.
“In alcuni casi ci è stato riferito – dice la parlamentare pentastellata – che in alcune fasce orarie può capitare che ci siano più fattorini e meno ordini. Quindi a differenza di una prestazione occasionale a progetto (che è stata superata) dove l’organizzazione era consensuale, il prestatore forniva il proprio servizio adattandosi a un’organizzazione altrui, in questo caso l’adattamento è in toto”. Ovvero, il lavoratore dà una disponibilità per cui, sulla base dell’algoritmo, il tempo e il modo viene deciso da qualcuno esterno. Per cui, la natura della subordinazione sembrerebbe chiara: controllo, disciplina e organizzazione.
E tuttavia, prima di entrare sulla natura del rapporto, è l’obiezione di Debora Serracchiani, occorre estendere le tutele, poi, occuparsi dei diritti nuovi. Ad esempio, il diritto di disconnessione, assolutamente sconosciuto prima d’ora. “Sono per l’eliminazione del cottimo – dice Serracchiani- ma valuterei, tenendo al centro le parti sociali, una retribuzione mista, con un minimo tabellare e un minimo variabile”. Il mondo dei riders è quello delle piattaforme digitali, vale a dire, diritti nuovi, o altre fattispecie come il lavoro attuato in condizioni metereologiche avverse. “Altri 12 mesi per la legge, per leggere anche questi cambiamenti – conclude Serracchiani – e anche Inail e Inps dovranno adeguarsi”.
Non vuole essere tacciato di luddismo il senatore Francesco Laforgia, anch’egli in commissione: “Nessuno è contro le nuove tecnologie, che tuttavia non hanno mai traiettorie neutre, producono fisiologicamente delle ineguaglianze”, dice . Però, è un’altra verità quella che emerge dalle sue parole: “Quella forma di lavoro mediata dall’algoritmo di una piattaforma digitale, è stato raccontato che avrebbe “tolto di mezzo” il titolare: questi lavoratori non avrebbero più avuto un titolare”. Invece, “Non solo ne avevano uno, ovvero l’algoritmo della piattaforma digitale, ma quel datore di lavoro aveva le sembianze del padrone”. Nuovi termini, significati antichi, continua il senatore. “Essere sloggati, cos’altro è se non il licenziamento ad nutum che proviene dal latifondo, quando il latifondista non aveva l’obbligo di comunicarti che ti stava per licenziare. e poteva presentarsi o mandarti a dire il giorno stesso che il tuo rapporto di lavoro era cessato?”.
Il punto è: non lavorare di più per guadagnare di più, ma lavorare di meno e più sicuri, con più tutele, guadagnando di più. “Il dato del lavoro si perde completamente. Nel rapporto con l’algoritmo, con la piattaforma digitale, c’è una sproporzione così enorme, che non si può verififcare che una condizione di rapporto di forza sfavorevole”. Risultato: mancano le condizioni per una contrattazione reale. dunque, mancano le condizioni per poter parlare di lavoro. Senza contare le famose “scatole nere” che inghiottono dati, il trattamento dei quali, ad oggi, non è chiaro.
Infine, dopo alcune precisazioni dell’esponente nazionale della Nidil Cgil che si concentrano in particolare sul cottimo e sulla sua funzione anche discriminatoria rispetto al lavoro, conclude i lavori Paola Galgani, segretaria generale di Cgil Firenze: “In questa città i riders hanno dato prova di capacità di organizzazione e mobilitazione sulle vertenze, e la Cgil è stata al loro fianco. Alle domande che pongono bisogna rispondere affrontando il tema da più parti, valorizzando il ruolo della contrattazione collettiva e quello delle rappresentanze sindacali. La questione riguarda i riders ma anche tutti i lavoratori della cosiddetta Gig Economy”.