Il 2025 inizia assai male per i vecchi amici. All’ospedale di Rimini il 2 gennaio è morto l’editore Mario Guaraldi. Aveva 83 anni ed era malato da tempo: cuore, cancro, alzheimer. Con tutto ciò è riuscito ad andare avanti giovanile e allegro, con la sua sonora risata contagiosa, fin quando una pietosa medicina l’ha sedato.
Era cattolico, uomo di fede profonda che probabilmente lo ha aiutato a sopportare il peso dell’inevitabile. Avendolo conosciuto femminaro gaudente, non sono mai riuscito a credere che ogni mattina si alzasse all’alba per andare in chiesa alla prima messa. Quando viveva a Firenze non so in quale. Tornato nella sua Rimini, faceva anche una quarantina di chilometri per raggiungere un prete da lui molto stimato.
Sua moglie Maria ne sorrideva bonaria e paziente. Invece io lo prendevo in giro sghignazzando, porcellone baciapile, tanto andrai comunque all’inferno. Lui scoppiava a ridere e l’inferno mandava me, Capaneo dantesco destinato per l’eternità al girone dei bestemmiatori.
Chiesa esclusa, siamo stati amici per affinità elettive e ci si frequentava anche perché le nostre mogli, entrambe francesi di Nancy, erano amiche già da prima di venire in Italia oltre cinquant’anni fa. Ci siamo visti l’ultima volta nella primavera del 2023 a Noci, in Puglia, dove avevano un piccolo appartamento nel cuore della città vecchia. Fummo sfortunati: faceva un freddo cane e piovve tutto il tempo. Mario era già parecchio sofferente, zoppicava e dimenticava le cose. Però la sua grassa risata spaccava nuvole e pietre. Ci divertimmo comunque.
Negli anni della contestazione, quando da Bologna si trasferì a Firenze, fu un notissimo editore della sinistra diciamo non ufficiale. Tra il ’71 e il ’79 la Guaraldi pubblicò titoli assai rilevanti di politica, sociologia, pedagogia, saggistica per un pubblico selezionato. Arbasino li avrebbe detti off off: ‘I pampini bugiardi’ con Umberto Eco, ‘Il calcio come ideologia’, ‘Diario di un educastratore’, ‘La dialettica dei sessi’, ‘Sisifo, ovvero i limiti dell’educazione’, ‘Il fascismo a fumetti’ del comune amico Claudio Carabba, anche lui defunto.
Mario fu il primo a pubblicare in Italia alcune raffinate opere di Strindberg (Le parole che vi ingannano), Bataille (Critica dell’occhio), Bourdieu (I delfini, gli studenti e la cultura), Boltanski (Puericultura e morale di classe). Ma editò anche titoli più popolari, sempre di taglio analitico. Tra i tanti: una ‘Storia del giornalismo sportivo’ di Aldo Biscardi non ancora divo Tv, ‘Radio e Televisione’ di Furio Colombo, ‘Il centro sinistra biodegradato’ di Pericoli e Pirella, e con padre Balducci ‘La politica della fede: dall’ideologia cattolica alla teologia della rivoluzione’. I tempi erano di grana decisamente impegnata.
Quella di Mario Guaraldi è stata infatti una battaglia culturale bella, generosa e perdente, come si addice alla nobiltà degli audaci. Il Pci lo detestava. Combattè anche in decine di convegni e congressi come quello di Rimini nel ’74, titolo, ‘Per un’editoria democratica’, che è il cliché di un’epoca. Parteciparono tutti i piccoli editori della galassia sinistrorsa e per il Partito Comunista tenne banco il futuro presidente della repubblica Giorgio Napoletano, che non fece sconti. Molti anni dopo, nel 2011, con le nuove tecnologie che rivoluzionavano il mondo editoriale, Mario si rivolse a lui per dar vita a una ‘Costituente del libro’. Parlava già della possibilità di editare se stessi a costi minimi. L’appello andò a vuoto.
Intanto l’avventura della Guaraldi Editore si era conclusa già nel 1980. Il terrorismo aveva sconvolto l’Italia, gli umori erano mutati, ci si avviava all’edonismo reaganiano e anche il mercato editoriale parlava ormai un’altra lingua. Costretto a vendere, Mario si trasferì a Genova impiegato alla Miralanza e, dopo qualche anno, di nuovo a Rimini nella grande casa in collina ereditata dalla famiglia.
Tutto finito? No. L’implacabile passione per i libri fece rinascere la casa editrice. Uscirono tanti altri titoli sugli stessi temi: molto di nicchia e purtroppo di vendite col contagocce a parte alcune strenne formidabili. La bella amicizia con Federico Fellini lo aiutò a riportarsi a galla, mentre la famiglia si allargava: prima uno, poi due, infine tre figli.
In realtà, contando anche Mario, di figli Maria ne aveva quattro. Donna tenace e di solido buonsenso, badava a tutto lei e, oltre ai conti, gestiva un’importante agenzia internazionale specializzata nella danza. Per molti anni è stata l’impresario di Martha Graham e del celebre giapponese Kazuo Ono, guru del Buto: ballare seminudi, corpo tinto di bianco, ghigni grotteschi o gioiosi, tipici del teatro tradizionale nipponico.
Mario e Maria si sostenevano a vicenda. Lei molto seria e composta, lui allegro, irruente, espansivo. Un ragazzo. La facilità comunicativa gli apriva qualsiasi porta e insieme giravano i teatri nel mondo, sempre pronti a cogliere nuove idee e amicizie.
Il che mi fa ricordare la volta che con Mario andammo in Giappone a trovare il famoso ballerino Saburo Teshigawara e Kazuo Ono nella sua casa teatro di Yokohama. Nato nel 1906, Kazuo era già centenario, si muoveva in sedia a rotelle, e sarebbe morto di lì a poco nel 2010. Conosceva Mario da tempo e fu lieto di vederci.
Il vero scopo del viaggio era però di incontrare il capo di una setta religiosa buddista, molto molto ricco, che pareva intenzionato a finanziare uno spettacolo di danza giapponese ispirato alla Divina Commedia. Il progetto, ideato da Maria, era in fase avanzata. C’era già, mi pare, anche un accordo per la prima al Teatro Comunale di Firenze. Io dovevo fare l’ufficio stampa del tour italiano. Poi saltò tutto, ma lo racconto perché l’esperienza fu a suo modo definitiva per quanto riguarda la stima di certi voraci religiosi.
Il tipo, assai anziano anche lui essendo del 1924, aveva un proprio vasto tempio nel centro di Tokio. Per raggiungere gli uffici dove ci aspettava, passammo in mezzo a una folla di fedeli oranti davanti a una statua del Budda. Le ricchezze, sapemmo poi, venivano dalle loro offerte. L’incontro fu diplomatico. Si trattava di convincere. Interprete il corrispondente locale di Maria.
Finito il colloquio di lavoro, il santone ci invitò a cena in un vicino ristorante esclusivissimo, una specie di monastero che già dalla postura (isolato in cima a una collinetta) si annunciava per tasche decisamente benestanti. Eravamo una decina o poco più. Il cibo disgustoso l’ho presto dimenticato. Non così i vini. Per ogni portata il nostro ospite volle offrici uno Chateau degli anni Venti, quelli in cui era nato. Forse festeggiava il compleanno? Non lo so. Comunque arrivarono varie bottiglie di Lafite Rotschild, Margaux, Romanée-Conti, Cos d’Estournel. Di solito di vino ne bevo poco e quasi sempre lo annacquo. Quella volta capii che non era il caso. Bevvi e presi nota.
A Mario capitò invece il conto tra le mani, vide la cifra e col terrore negli occhi subito la passò al vicino perché la trasmettesse a chi avrebbe saldato. In albergo seppi quanto: oltre 43 milioni di yen, al cambio attuale circa 270 mila euro. I soldi delle offerte. La misericorfiosa carità della fede e il miracolo del vino.
Ce lo siamo raccontato cento volte, vero Mario? Più o meno 27 mila scudi a testa. Non ci ha mai creduto nessuno. Ma uscendo mi fu donata l’etichetta di uno dei mostruosi Chateau, il Lafite 1921. L’avevano scollata e plastificata. La tengo come prova.
Qualche anno fa convinsi Mario a scrivere la propria autobiografia. Ne aveva tante da dire. E difatti scrisse, puntiglioso, ironico, spavaldo, duecento pagine di divertente intelligenza, con nomi e cognomi di amici e nemici. La corsa a ostacoli di una vita, con tante salite e discese, raramente nella piatta ovvietà delle pianure. Mi mandò il testo che lessi con massimo piacere e previdi anche un bell’exploit di vendite. Col suo consenso feci un leggero editing e sul titolo ci trovammo d’accordo: ‘Memorie di un editore d’insuccesso’. Poi spedii a Milano al giudizio di amici agenti letterari. Roba passata, risposero, troppo di nicchia. Io ne fui deluso, Mario no. Non gli importava. Gli bastava aver scritto per i figli.
Ecco. Cosa posso aggiungere? Morire, dormire, null’altro. E dire che con quel sonno poniamo fine alle angosce e ai mille affanni naturali di cui è erede la carne. Morire, dormire. Forse sognare…
Addio amico mio.
In foto Mario Guaraldi