Firenze – Il 6 agosto 1945, alle ore 8,16 di un limpido mattino estivo, il bombardiere Enola Gay sgancia il più potente ordigno mai creato dall’uomo. Esplode a 580 metri da terra e in un’infinitesima frazione di secondo 86.000 persone ardono vive. Altre 72.000 persone subiscono terribili ustioni. In un solo secondo, oltre 6.800 case sono sbriciolate e scagliate in aria per chilometri dall’onda d’urto
È stato osservato: “In questo secondo, l’uomo che Dio aveva creato a propria immagine e somiglianza aveva compiuto, con l’aiuto della scienza, il primo tentativo di annientare se stesso. Il tentativo era riuscito”. (K. Bruchner, Il gran sole di Hiroshima)
Ancora: “nel primo miliardesimo di secondo la temperatura nel punto di esplosione raggiunse i sessanta milioni di gradi centigradi, diventando dieci volte più calda della superficie del sole”. Migliaia di esseri umani si ridussero in cenere o semplicemente scomparvero (S.Walker ”. Appuntamento ad Hiroshima ” Longanesi, 2005).
La terribile scena a cui assisté il dottor Shuntaro Hilda, quindici minuti dopo l’esplosione e che è riportata dallo scrittore e regista Stephen Walker nel libro “Appuntamento ad Hiroshima “sembra un incubo tratto da un racconto di fantascienza (“Non assomigliava ad un essere umano, era qualcosa di mostruoso) : invece è una realistica descrizione degli orrori di quel 6 agosto.
Appuntamento ad Hiroshima è un resoconto significativo, tanto più che nella sterminata bibliografia e nell’altrettanto imponente produzione cinematografica e televisiva sulla seconda guerra mondiale, la distruzione di Hiroshima e Nagasaki ha un rilievo decisamente modesto: è il dark side dell’Occidente che, sebbene non ignorato, viene psicologicamente rimosso.
Tra l’altro, si è soliti, ancora oggi, ”giustificare” l’evento affermando che servì a porre fine al conflitto e risparmiò un milione di vite umane perché tante ne avrebbe richieste l’invasione del Giappone (Truman, in realtà, aveva parlato di un quarto di milione).
Certo, è un’argomentazione formalmente ineccepibile. In ogni epoca si è sostenuto che si deve sacrificare il plotone per salvare il reggimento, figuriamoci quando si tratta di un “plotone” di nemici.
E’ un ragionamento fondato sulla premessa che il Giappone non avrebbe mai accettato una resa incondizionata. Si dice che la storia non si fa con i se e con i ma. Invece, talvolta, dovremmo farlo. Si sarebbe potuto raggiungere un armistizio che non fosse una resa incondizionata?
Circondato dalla marina americana a sud, dall’Unione sovietica a nord, isolato dal resto del mondo, dopo la resa della Germania, il regime nipponico avrebbe potuto solo prolungare la sua agonia. Aveva, probabilmente, abbastanza fanatismo per farlo. Ma una cosa è il regime, una cosa la popolazione. Forse si poteva indurre il popolo ad imporre al governo una pace negoziata.
In ogni caso, si sarebbe dovuto tentare anche l’impossibile, piuttosto che l’orrore venuto dal cielo.
Non è, inoltre, da scartare, nemmeno la versione che considera il duplice olocausto nucleare un monito rivolto più all’Unione Sovietica che al Giappone. Infatti, mentre il regime nipponico era allo stremo, Stalin premeva alle frontiere con la Cina e gli americani non volevano una seconda cortina di ferro in Asia.
Hiroshima e Nagasaki avrebbero mostrato ai russi cosa sarebbe potuto accadere anche alle loro città. Un’ipotesi troppo cinica? Soprattutto inutile, perché Stalin, che già sapeva della nuova arma, non si scompose troppo: tanto più che anche la Russia stava costruendo l’atomica. Speriamo, dunque, che questa interpretazione sia solo una congettura.
Sarebbe ancor più terribile che i morti di Hiroshima, quei corpi orrendamente mutilati, fossero stati solo innocenti vittime nel braccio di ferro Usa-Urss.
Sadako, una bambina di due anni, che giocava nel parco Hijiyama viene spazzata via dall’esplosione ma viene ritrovata viva, tra ammassi di corpi mutilati. Dieci anni dopo sembra tornata la felicità: ragazzi e ragazze gareggiano nel parco di Hiroshima, Sadako è raggiante perché ha battuto la maggior parte degli “avversari”. Ma è terribilmente esausta. La “grande folgore” aveva lasciato il segno. Quel 6 agosto le radiazioni non l’avevano risparmiata.
Comincia un calvario. In ospedale, dove lotta contro la leucemia, Sadako costruisce delle gru di carta, simbolo di longevità e di felicità. Una tradizione giapponese dice, infatti, che se un ammalato costruisce mille gru di carta, gli dei lo guariranno. Riesce a realizzarne 664 prima di morire.
La bambina sapeva bene che si trattava solo di una tradizione ma voleva lanciare verso il futuro una piccola gru di carta, perché divenisse messaggera dell’appello a far sì “che i bambini non dovessero più morire così”
Oggi i visitatori del Memorial Park di Hiroshima dove sono ricordati gli orrori dell’atomica, depongono una gru di carta sul monumento dedicato alla piccola Sadako. Questa vicenda è ricordata in numerosi libri fra cui i famosissimi Orizuru no kodomotachi (I bambini della gru di carta) di Masamoto Nasu e Il grande sole di Hiroshima di Karl Bruchner che tutti dovremmo leggere, per non dimenticare, mai. Perché attraverso gli occhi dei bambini appare l’accecante luce di un nuovo sole blasfemo il cui bagliore non dà vita ma morte.
L’orrore di Hiroshima, ripetuto tre giorni dopo a Nagasaki (quando, di fronte ad un Giappone sbigottito e prostrato, le motivazioni di tipo militare, dirette a “spingerlo alla resa” apparivano ancora più labili) ha finora dissuaso il mondo da utilizzare l’arma atomica ed ha costretto le grandi potenze a mantenere i nervi saldi anche quando il braccio di ferro rischiava di sfociare in un conflitto, come nella crisi di Cuba del 1962.
E’ stato rilevato che i bombardamenti di Monaco, di Norimberga, furono egualmente distruttivi ma a Hiroshima si delinearono scenari fino ad allora inimmaginabili e sospinsero l’umanità, secondo la nota espressione lapiriana, sul crinale apocalittico della storia: un incubo da cui non siamo affatto liberi visto che la minaccia nucleare è sempre un pericolo possibile.
E se negli anni ’50, nel corso della guerra fredda, non ci fosse stato sufficiente self control, sarebbe stato l’evento che avrebbe segnato la fine all’umanità.