Rete anti violenza: paradossi della burocrazia

Prato – Firmato a Prato il Protocollo d’Intesa per la costruzione della rete di sostegno e protezione per il contrasto della violenza alle donne e minori nella Provincia di Prato. Un importante passo avanti nella lotta alla violenza nei confronti delle fasce deboli della popolazione che però per una norma regionale elimina di fatto quelle associazioni che sul territorio, pur essendo iscritte nel Registro Unico delle associazioni del Terzo Settore (così come richiede oggi lo Stato), pur avendo vinto bandi regionali e comunali, ottenuto contributi a sostegno delle vittime di violenza, pur presenti nella rete della Sds, iscritte al Tavolo del Comune e  della Provincia vengono tagliate fuori perché prive del crisma di centro anti violenza.

A nulla valgono i numeri identificabili in nomi e cognomi di donne che in Toscana, potendo scegliere tra il percorso in uscita dalla violenza di un Centro, hanno optato invece per quello proposto dalle realtà associative. Su quanto accaduto in Toscana la presidente Ebla Ahmed dell’associazione Senza Veli sulla Lingua ha detto: “In questi due anni di pandemia abbiamo pensato a mettere in sicurezza  le donne e non alla burocrazia. Abbiamo le carte in regola per diventare un  centro anti violenza e faremo i passi necessari in tal senso, visto che lo Stato ce lo chiede per continuare ad esistere”.

Non tira una bell’aria nemmeno per i centri anti violenza. Specie sul reddito di libertà che per ora, secondo quanto stabilito dall’Inps, verrebbe concesso  alla donna vittima di violenza solo dietro una documentazione firmata dal presidente di un centro anti violenza congiunta ad un report dei servizi sociali. Ma a sentire la presidente di un centro anti violenza, la strada per ottenere il reddito di libertà è tutta in salita.
Secondo un calcolo della rete DI.RE in Italia ne avranno diritto appena 450 donne. La DI.RE ne accoglie in Italia all’anno circa 20mila. E su questo dice la sua anche Alessia Sorgato avvocato di riferimento di molte associazioni tra cui la Senza Veli sulla Lingua: “Condividiamo che lo Stato voglia verificare con scrupolo ogni situazione per evitare di disperdere fondi a chi non li merita, come la cronaca ci ha spesso insegnato ma trovo iniqua una norma che, ora per allora, pretenda di sovvenzionare solo donne che siano già in carico ad un Cav. Questo penalizza ingiustamente tutte coloro che, per vari motivi, siano assistite da associazioni non ancora assurte a rango formale di Cav. Ancora una volta, penalizziamo le vittime, per tacer del fatto che, quanto alle straniere, solo se munite di regolare permesso di soggiorno avranno diritto a chiedere il reddito di libertà. Come se non sapessimo che sono proprio le irregolari ad essere maggiormente penalizzate da mariti e compagni maltrattanti”.

Insomma in un settore che presta attenzione e aiuto a chi vive sulla propria pelle discriminazione e violenza, più che carte bollate servirebbe ben altro, specie buon senso. E pare di capire che contro la violenza sulle donne meriti che lo Stato ascolti  dal basso le associazioni, i centri anti violenza e gli operatori del diritto che sono in prima linea contro la violenza altrimenti si scontentano tutti, compreso le vittime. E non è questa la strada da percorrere per arginarne un fenomeno che registra ancora numeri preoccupanti.
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