Resa dei contiUnicredit, la Manodori rischia il posto nel cda

Lunedì prossimo la giornata decisiva per l’elezione del nuovo presidente e del board. La fondazione potrebbe essere costretta a lasciare il posto nel cda. Intanto il titolo sprofonda in borsa
Gianni Borghi (a sinistra) con l'ad di Unicredit Federico Ghizzoni

Ventotto milioni di euro. A conti fatti, tanto è costata alla Fondazione Manodori la partecipazione all’aumento di capitale di Unicredit e ora vede messo in discussione il posto nel consiglio di amministrazione della banca. E mentre in piazza Cordusio si litiga sulla nomina del successore di Dieter Rampl alla presidenza dell’istituto, il titolo a Piazza Affari da fine marzo ha ceduto oltre il 17% (da quota 4 euro a 3,3).

A piazza Cordusio l’aria è quella della resa dei conti e questa dovrebbe essere la settimana decisiva per l’elezione del nuovo presidente e il rinnovo del board. Sulla doppia partita la scorsa settimana si è tenuto un vertice a Milano tra le fondazioni azioniste di Unicredit (per la Manodori era presente il presidente Gianni Borghi) che si è concluso con un nulla di fatto: l’unica decisione è stata quella di rinviare tutto all’ultimo giorno utile, cioè lunedì prossimo. Per la successione di Rampl c’è una rosa di quattro nomi: l’ex presidente di Borsa italiana, Angelo Tantazzi, l’attuale, Massimo Tononi, l’ex presidente dell’Iri e dell’Eni, che attualmente ricopre la stessa carica in Atlantia e nel Credito Piemontese, Gian Maria Gros Pietro e l’outsider Giuseppe Vita, presidente di sorveglianza del colosso editoriale tedesco Axel Springer, già consigliere di varie società italiane oltre che presidente di Allianz in Italia, adesso anche nel consiglio d’amministrazione di Rcs.

Vista da Reggio, però, a preoccupare non è tanto il nome del nuovo presidente, quanto la rappresentanza nel consiglio di amministrazione che passerà dagli attuali 23 a 19 consiglieri. Gli azionisti privati italiani, fra i quali Maramotti, e stranieri sono intenzionati a fare sentire la loro voce e lo spazio per le fondazioni si è ridotto. A farne le spese nel cda potrebbero essere enti che hanno partecipato solo in parte all’aumento di capitale, ovvero la Manodori e la Bds. La Fondazione Banco di Sicilia sta però facendo resistenza e cercherà di fare valere il peso politico dal momento che la Regione Sicilia è azionista allo 0,3%. Insomma, se la trattativa non troverà uno sbocco la Fondazione Manodori potrebbe essere costretta a fare un passo indietro, nonostante i quasi 150 milioni investiti nella banca negli ultimi 5 anni.

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