La nota appare decisamente equilibrata. Non ci sono lodi sperticate per il nuovo impianto programmatico e non ci sono stroncature; ma c'è soltanto una valutazione di massima di quali sono le tendenze spontanee del paese, che non sono particolarmente positive, e di quali possono essere gli spostamenti indotti dalle politiche attuate e previste dal nuovo Governo.
La politica del Governo Renzi è, si dice, un mix di politica della domanda e di politica dell'offerta. Ed è un sistema di interventi che dovrebbe portare a migliorare le performance macroeconomiche dell'Italia, rispetto a precedenti valutazioni di Morgan Stanley, con una crescita dello 0.5% nel 2014 e dell'1.0% nel 2015. Come si vede siamo di fronte a performance ancora fra le peggiori fra i paesi europei ma almeno positive e crescenti.
Morgan Stanley ricorda ancora una volta che un piano per lo sviluppo dell'Italia dovrebbe essere fondato su tre grandi politiche. Una politica per la competitività che diminuisca i costi di produzione anche attraverso una crescita della produttività (essendo il costo del lavoro solo uno dei fattori di competitività), una politica di riforma della tassazione, della pubblica amministrazione e della giustizia ed infine una politica di contenimento del deficit e di abbassamento strutturale del debito anche attraverso processi diffusi di privatizzazione del patrimonio pubblico.
Il nuovo Governo ha solo iniziato a toccare i primi due punti mentre, come vedremo, sul terzo punto ancora non propone una strategia d'assalto in grado di affrontare strutturalmente il problema.
Morgan Stanley si sofferma lungamente, e potrebbe apparire strano trattandosi di una valutazione prettamente economica, sulla riforma istituzionale ed in particolare sulla nuova legge elettorale. Ma nel corso della trattazione appare in tutta evidenza l'importanza di avere una buona legge che consenta stabilità e governabilità, e quindi metta il Governo nella condizione di affrontare le riforme che possono anche essere in un primo momento impopolari. Si tratta infatti di avere istituzioni più efficienti, meno burocratiche, meno costose e quindi più adatte ad accompagnare il rinnovamento del paese. In questo contesto viene valutata positivamente, ed auspicata, la possibile durata del nuovo Governo fino al 2018. Appunto il tempo necessario per mettere a punto e far funzionare un nuovo “contesto istituzionale”.
Quindi si passa alla valutazione delle politiche da domanda fra cui spicca il rimborso dei crediti delle imprese verso la PA. Si parla di cifre intorno ai 68 miliardi (che si aggiungono ai 22 già pagati) da reperire con operazioni messe in atto attraverso fondi della Cassa Depositi e Prestiti. Questo flusso verso le imprese potrà essere utilizzato o per fare nuovi investimenti, o per pagare arretrati di stipendi o forniture e, infine, per ricreare presso le imprese fondi di riserva completamente azzerati nel corso della perdurante crisi di liquidità. E' chiaro che l'effetto sarà tanto più elevato nel primo caso e sarà invece più limitato negli altri due (con un minimo nel terzo caso). Se le imprese incontreranno una crescita macroeconomica stabilmente crescente, anche se non elevatissima, potranno indirizzarsi con più favore verso la fattispecie più favorevole alla crescita e cioè verso l'incremento degli investimenti. Questa misura appare, come è ovvio, del tutto congiunturale ma può inserirsi in un cambiamento strutturale positivo per la crescita se, dopo l'avvenuto pagamento degli arretrati, si potrà stabilire fra imprese e PA una velocità di pagamento più europea e quindi più capace di dare un clima di certezza alle imprese.
La stessa valutazione di politica congiunturale risulta per la politica relativa all'incremento di 85 euro al mese per chi guadagna meno di 25 mila euro l'anno. Si tratta di una immissione di liquidità verso famiglie a reddito meno elevato che può avere un effetto di spinta immediata ma che non modifica le ragioni strutturali della debolezza del paese. In questa valutazione si sente in maniera netta l'interpretazione dei principali centri di ricerca internazionali che tende a definire la mancata crescita dell'Italia come un problema quasi esclusivamente strutturale da offerta, che deriva dalla mancanza di riforme per la competitività, e non come un problema relativo alla mancanza di domanda. Si potrebbero portare a sostegno di una mancata crescita anche per debolezza della domanda aggregata, in particolare del volume di investimenti pubblici, alcuni indicatori e dati macroeconomici ma non è questa la sede per farlo.
Per quanto riguarda invece le politiche da offerta, si fa riferimento principalmente al job act. Ed in particolare alle politiche che puntano ad una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro per i nuovi entranti. Ed anche a forme di contrattazione che privilegiano la flessibilità dei contratti di impresa e di territorio rispetto alla maggiore rigidità della contrattazione nazionale. E' chiaro che per Morgan Stanley questi provvedimenti hanno un segno positivo con una avvertenza però di non insistere, pena lo stabilirsi di un forte dualismo nel mercato del lavoro, con provvedimenti che aumentano solo la flessibilità dei nuovi entranti lasciando però del tutto inalterata la rigidità di chi già si trova dentro il sistema lavoro. Questo, alla lunga, depotenzia l'impatto positivo dell'immissione di una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro.
Il giudizio di Morgan Stanley sul piano generale di rilancio economico del nuovo Governo Renzi è positivo ma non privo di critiche e di avvertimenti. Si legge il piano come un tentativo generoso di rilancio a breve dell'economia ma con ancora una certa timidezza nell'affrontare i nodi strutturali che tengono bassa la crescita strutturale del paese. E allora si consiglia, come nel caso del pagamento degli arretrati o nelle politiche di flessibilità, di avviare il rilancio congiunturale ma con un occhio al cambiamento degli elementi strutturali che hanno certamente più effetto nel medio-lungo periodo.
Infine un capitolo importante è dedicato al tema della disponibilità delle risorse per gli interventi e per l'abbattimento del debito pubblico, che rimane un elemento fondamentale di una politica strutturale per la crescita. Le avvertenze sono due. La prima è di non confidare troppo sui risparmi che derivano dall'abbassamento tendenziale, previsto anche nei prossimi anni, dello spread. Si potrebbero avere dei contraccolpi che innescano un circolo vizioso verso l'incremento del deficit e del debito pubblico. Il secondo è di usare la spending review proposta da Cottarelli in maniera tempestiva, senza perdere troppo tempo, per avere da subito delle disponibilità tangibili da usare per interventi immediati.
Infine si ricorda che il vero problema del paese è la bassa crescita. Ed è su questo punto che deve concentrarsi la politica strutturale del Governo in Italia. Solo una maggiore crescita, che si affianca a politiche spinte di privatizzazione, può cominciare a dare un colpo deciso e visibile all'abbattimento dell'indicatore del debito pubblico sul pil. E quindi alla ripresa di politiche meno oberate da vincoli finanziari a volte ritenuti, non senza ragione, eccessivamente stringenti per il paese.