Renzi ha rottamato in men che non si dica anche l’ultimo ormai ex Presidente del Consiglio, quell’Enrico Letta che sembra abbandonare almeno con grande dignità (e minor attività) la carica di premier, dando corpo alla sua prima grande contraddizione. L’aver menato ai quattro venti che mai sarebbe diventato capo di un esecutivo senza passare dalle urne. Detto, non fatto. In una drammatica direzione nazionale del partito, il sindaco di Firenze ha ribadito che è tempo di cambiare rotta. Leggasi, suona la sua ora per palazzo Chigi. Raccogliendo la stragrande maggioranza dei voti: 136 sì contro 13 contrari. Annunciando un governo da qui al 2018. Possibile?
E mentre il popolo social si scatena, il partito si divide ulteriormente, almeno nelle sue teste pensanti. Civati per esempio ha detto no. I renziani festeggiano, gli altri bofonchiano paventando nell’ennesimo esponente del Pd che fa le scarpe a un collega del Pd, oscuri presagi elettorali. Tutti i sondaggi darebbero oggi in testa il centrodestra.
Questo non è un processo al governo – ha puntualizzato il leader durante il suo intervento -. Si tratta invece di capire se siamo in grado di aprire una pagina nuova, per noi e per l’Italia ». Non è un processo, ma di fatto l’azionista di maggioranza dell’esecutivo ha deciso di staccare la spina. Si realizza dunque l’ormai famosa «staffetta» che dovrebbe portarlo subito il sindaco di Firenze alla guida dell’esecutivo, senza quel passaggio elettorale che era stato fin qui sempre invocato. «Ma ora non ci sono le condizioni per tornare alle urne – ha spiegato Renzi – perché non c’è una legge elettorale in grado di garantire maggioranze e perché il percorso delle riforme ancora non è stato avviato». Sul termine «staffetta» è categorico: «La staffetta è quando si procede nella stessa direzione e alla stessa velocità, non quando si prova a cambiare il ritmo». E dunque si volta pagina: «Se l’Italia chiede un cambiamento radicale o questo cambiamento lo esprime il Pd o non lo farà nessuno».
Letta non ha invece preso parte alla direzione, per evitare divisioni interiori mentre in serata si è chiuso nei suoi uffici non a caso coi “fedelissimi” Lupi, Alfano e Quaglieriello. E venerdì si reca al Qirinale da Napolitano per le dimissioni. Scende il gelo con Franceschini e, forse, con lo stesso Delrio i cui giri di parole non hanno poi retto alla prova dei fatti.
Per non fare la figura dell’unico ministro transeunte tra i due governi, è possibile che Graziano Delrio non vada a ricoprire la carica di titolare del dicastero degli Interni ma si accontenti di un sottosegretariato alla Presidenza. Per essere più vicino all’amico e neo-presidente del Consiglio Matteo Renzi