Una specie di marcetta su Roma. Ci si stanno infilando tutti, poco alla volta. L’ultimo in ordine di tempo è Andrea Rossi, “adottato” pro tempore dallo staff del sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri con delega all’editoria, Luca Lotti, con un contratto di lavoro a tempo determinato. Il governo ha trovato un impiego anche per l’ex sindaco Pd di Casalgrande, ingrassando la truppa dei reggiani a carico. Reggiani che non sempre se la passano in armonia fra di loro, anche quando collocati sulla stessa sponda.
L’ala sotto la quale è finito Andrea Rossi, ad esempio, è quella di un sottosegretario che il mese scorso – in occasione dei lavori sul decreto Madia (testo che suscitò le perplessità del reggiano Bonaretti) – arrivò alla scontro con Graziano Delrio: un match alla fine del quale l’ex sindaco di Reggio avrebbe minacciato ancora una volta di andarsene. Il fatto che Rossi sia finito proprio lì può essere considerato solo un caso?
Un altro fronte reggiano è quello in cui si combatte sul lavoro. Il governo Renzi – attraverso l’operato di uno staff che annovera lo scandianese Maurizio Battini – vuole approvare tutta la seconda parte del Job Act entro l’anno, scardinando un totem del sindacalismo. Il progetto prevede che il lavoratore appena assunto non possa godere della tutela prevista dall’Articolo 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori, e che in caso di licenziamento senza gusta causa – nel periodo dei primi 36 mesi di lavoro – non sia fatto valere l’obbligo di reintegro. In un contesto, però, che il governo definisce di “tutele crescenti per i lavoratori”.
Figurarsi la Cgil, e figurarsi soprattutto la Fiom del suo segretario nazionale, il reggianissimo Maurizio Landini (foto). L’ultima sua dichiarazione ufficiale, in merito a quanto affermato da Renzi sulla bontà del suo Job Act, è stata di una diplomazia decisamente sui generis: “E’ una presa per il culo”.
S.P.Q.R. Atto finale?