Firenze – “Il referendum di ottobre –rileva Gianni Taccetti , Presidente Associazione di Cultura e Politica ADESSO nel dare inizio alla campagna per il si al referendum istituzionale – ha un’importanza sostanziale e simbolica”. Esplicitando questo concetto Taccetti – che è anche membro dell’ Assemblea nazionale del PD – osserva che “ saremo chiamati a votare sulla riforma della Costituzione che dopo sei letture e sei votazioni tra Camera e Senato e due anni e mezzo di lavoro arriverà nelle nostre mani per un Sì o un No.
Un Sì o un No sulla capacità dello Stato di rispondere più efficacemente alle esigenze del cittadino, per rivedere l’architettura istituzionale correggendo degli eccessi del federalismo figli della precedente riforma, per sancire un cambiamento in atto che troverà nella rinnovata veste delle nostre istituzioni la cornice entro la quale si stanno facendo anche tutte le altre riforme “ordinarie” di questi ultimi anni. Andiamo al fondo di cosa c’è in gioco: la possibilità di far ripartire l’Italia, in modo sostanziale e simbolico.
I cantieri aperti in questi anni che stanno andando a toccare tutte quelle parti del nostro ordinamento giuridico e sistema istituzionale che dopo molto tempo avevano bisogno di correzioni hanno l’alveo naturale nell’approvazione di questa riforma, che unitamente alle altre cose cui è stato messo mano, compresa la legge elettorale, ridisegneranno lo Stato in meglio.
Abbiamo chiesto in questa intervista a Gianni Taccetti di approfondire tale problematica. Iniziamo dall’accusa di “deformazione” della Costituzione e dei suoi principi ispiratori che lanciano alcuni sostenitori del No
Lasciamo stare le polemiche faziose. Non ci sono in ballo modifiche alla prima parte della carta costituzionale, quella sui principi e sui valori, tutt’altro: sul solco di quei valori nati dalla lotta partigiana, dopo il buio del ventennio fascista, quei principi, fermamente saldi nella nostra società e ancora da difendere, troveranno attuazione in un modificato sistema istituzionale che sarà più rispondente alla situazione dell’ oggi .
Ma qual è allora l’obiettivo di fondo di questa revisione costituzionale?
Modernizzare e correggere per rendere il paese in grado di ripartire. Perché di questo si tratta: far ripartire l’Italia. Non certo dimenticare il passato od offendere l’opera dei padri costituenti. Chi dice il contrario commette una grave scorrettezza nei confronti della storia. Quella che andiamo a modificare è la parte organizzativa strumentale del dettato costituzionale, non si toccano gli articoli sulla magistratura e quasi per niente quelli sulla Corte costituzionale: in un contesto così mutato dal 1948 andiamo a cambiare l’organizzazione dello Stato per meglio perseguire oggi e nel futuro quei diritti e doveri, quei valori della resistenza che sono rimasti intatti nella carta e patrimonio del paese.
Ma la modifica dell’assetto istituzionale come può avere influenza sullo sviluppo economico ?
Snellendo e rendendo più efficiente lo Stato si risponde prima e meglio alle esigenze di tutti i cittadini. Dopo anni di difficoltà è stata imboccata una strada riformatrice che riguarda molti aspetti della pubblica amministrazione e del nostro paese. Questo Parlamento, figlio di elezioni che nel 2013 non hanno dato una maggioranza univoca, ha intrapreso una fase che potremmo definire ‘costituente’ mettendo insieme forze che alle elezioni erano avversarie ma che insieme hanno scritto e votato questa riforma. Per strada è stato perso qualche pezzo di gruppi parlamentari ma solo per questioni di convenienza del momento o di ripicca, l’impianto è stato votato da maggioranza e larga parte dell’opposizione prima del ripensamento. Ma questo non è il momento dei giochetti o delle schermaglie interne, occorre responsabilità e senso della realtà: la riforma possibile era un insieme di convergenze tra forze politiche provenienti da strade diverse. Chi anche all’interno del Partito Democratico critica l’aver dato spazio a forze dell’opposizione non capisce il senso delle riforme istituzionali e che il massimalismo nella storia non ha mai avuto successo.
Dunque Lei pensa che sia il migliore risultato che si poteva ottenere?
Come diceva De Gasperi il fuoco si fa con la legna che abbiamo, quindi basta a inutili distinguo o “si poteva fare meglio” o “avrei preferito che si facesse in un altro modo” , in un altro modo non abbiamo potuto fare perché alle elezioni non abbiamo vinto come avremmo dovuto e comunque le riforme si fanno insieme alle opposizioni ognuno cedendo qualcosa.
È inutile girarci intorno, se il referendum confermativo non passerà il Governo si dimetterà e quello che non serve a questo paese è una nuova fase di instabilità e incertezza, da esiti elettorali altrettanto incerti. Perché adesso serve continuità, un Governo stabile, un governo forte capace di interagire e contrattare con le istituzioni europee come fanno Francia e Germania. Un paese che se cambiasse di nuovo guida sarebbe sempre meno credibile e ai partner europei non potrebbe che risultare non affidabile. Non verrebbe considerato quando fossero richieste garanzie alle promesse. No, questo non è quello che ci serve.
La sua associazione si chiama “Adesso”: una chiara indicazione, dunque
Sì. Il tempo del cambiamento è adesso, non un domani indefinito che non arriverebbe mai. Occorre mobilitarsi per far vincere il Sì e con esso gli italiani. Per questo l’Associazione di Cultura e Politica ADESSO apre un comitato a sostegno del Sì per contribuire con idee e disponibilità a questa campagna referendaria. Per aderire e coinvolgersi scrivere a info@adessonline.it La riforma che il Governo ha proposto e il Parlamento ha disposto con passaggi parlamentari fatti di discussione vera (tanto che rispetto al testo iniziale sono stati approvati 90 emendamenti) serve per razionalizzare il sistema politico istituzionale e adattare i nostri processi decisionali alla velocità della società. Consegnando a noi stessi un sistema per il quale, unitamente alla legge elettorale, la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto e possa governare, senza giochini parlamentari ormai di altri tempi. A chi non accetta che in una democrazia si debba poter governare in maniera chiara per rispondere alle sfide di oggi puntualmente e con l’autorevolezza data dalla mancanza di incertezze, rispondiamo che sono finiti i tempi del trasformismo e delle tattiche da transatlantico, quando la ‘regola’ principale era ‘meglio non rischiare e riciclarsi’. Matteo Renzi ci mette la faccia, nel bene o nel male.