Un bel libro, forte e crudo, sulla noia della coppia moderna

Esce il romanzo d’esordio “Nel giardino dell’orco” di Leila Slimani. Che si annuncia un successo
Il diario di una moglie insoddisfatta e ninfomane scritto da una marocchina. La protagonista è francese ma il romanzo è uscito (e premiato) in Marocco. Leïla Slimani, nata a Rabat nel 1981vive a Parigi dal 1999. Giornalista, commediografa, ha esordito con «Nel giardino dell’orco». L’autrice sarà al Salone del Libro di Torino Sabato 14 maggio ore 13 (Arena Piemonte)
“Il diario di una moglie insoddisfatta e ninfomane scritto da una marocchina” (La Stampa). La protagonista è francese ma il romanzo è uscito (e premiato) in Marocco. Leïla Slimani, nata a Rabat nel 1981, vive a Parigi dal 1999. Giornalista, commediografa, ha esordito con «Nel giardino dell’orco». L’autrice sarà ospite al Salone del Libro di Torino sabato 14 maggio alle ore 13 (Arena Piemonte)

L’orco nel giardino di casa

“L’amore non è altro che pazienza. Una pazienza devota, accanita, tirannica. Una pazienza irrazionalmente ottimista. Non abbiamo ancora finito”.

Una recensione non dovrebbe mai togliere al lettore il gusto e la sorpresa del finale di un libro.

Ma in questo caso, forse, val la pena di fare una eccezione.

Si tratta delle ultime righe di “Nel giardino dell’orco”, romanzo di esordio di Leïla Slimani, nata e cresciuta in Marocco, vincitrice con questo scritto del più prestigioso premio letterario del suo Paese, la Mamounia.

Il romanzo è scritto in francese, è edito da Gallimard ed è appena uscito in Italia presso Rizzoli.

La trama è banale, inflazionata. Sesso, noia e conformismo sono i protagonisti.

Adele è giornalista. Potrebbe essere soddisfatta della sua vita professionale, nonché di essere madre di Lucien, bimbo di tre anni, e moglie di Richard, un medico in carriera e a lei devoto. Ma non ci riesce.

Cerca nel sesso sfrenato, quasi sempre occasionale e spesso con sconosciuti o quasi, la sua ragione di essere.

Siamo ben lontani dalle ‘Cinquanta sfumature di grigio’, anche se chi scrive si è rifiutato di leggere questo testo di successo e si basa sulle convincenti informazioni acquisite dalla stampa a riguardo.

Come è stato con acume osservato da Giulia Zonca nella sua recensione su Tuttolibri del 30 aprile scorso, “Nel giardino dell’orco” il sesso è in realtà ‘l’autopsia di un atto sessuale, privato dell’eccitazione e ridotto a impulso malato, dettato dallo stesso istinto che ha il serial killer’.

La prima parte del romanzo si sostanzia in una lunga serie di incontri e di atti sessuali, descritti nei minimi dettagli, inframezzati da una altrettanto lunga serie di accorgimenti messi in atto dalla protagonista Adèle per nascondere al marito questa sua doppia vita.

Il quale, il marito, non sembra impegnarsi più di tanto né a sorvegliare la moglie né tanto meno a starle accanto, preso dalle incombenze professionali. Tanto affetto e tanta devozione, ma nulla più.

I genitori di entrambi i coniugi sono anch’essi del tutto convenzionali. Vivono in provincia e compaiono solo di tanto in tanto nella trama.

Lauren, amica di fiducia di Adèle, è l’unica figura oltre a quelle appena citate a rivestire importanza nella trama. È single, disinibita ma affettuosa, e in un certo modo è ciò che la stessa Adèle avrebbe voluto ma non riesce a essere. Critica sul matrimonio fra i due protagonisti, mette in guardia più volte l’amica, ma non le fa mancare mai il sostegno, anche economico.

Nella seconda parte del romanzo la protagonista viene scoperta dal marito, che dopo momenti di rabbia furiosa decide di rimanere accanto ad Adèle e di aiutarla a recuperare un senso più normale della vita, sesso incluso.

Da qui il finale, con la convinzione espressa da Richard che l’amore sia pazienza, attesa. Dopo che tutto sarà passato, resteranno loro due. Un amore, diciamo così, maturo – ma in presenza del quale si prefigura esplicitamente l’atto sessuale. Spina dorsale arrugginita inclusa.

Perché il libro è interessante e meritevole di attenzione?

Oltre al fatto di essere ben scritto, di scorrevole lettura e in grado di raccontare una storia scabrosa in modo non volgare, poiché sembra essere una metafora pressoché perfetta dell’impasse in cui versa la nostra vita individuale e sociale, almeno in gran parte dei Paesi occidentali.

Nell’intervista di accompagnamento alla recensione su Tuttolibri a cui si è sopra fatto cenno, vengono chieste alla Slimani informazioni su chi sia l’orco del titolo del libro. Più in dettaglio, se sia corretto riferirsi al sesso o al marito della protagonista.

La risposta della scrittrice marocchina è assai istruttiva: ‘Ci sono tanti orchi. La società non ammette che le donne possano avere certe pulsioni. Prima di capire di che si tratta scatta il giudizio e lei è già in trappola. Questo mondo è abituato a far sentire le donne colpevoli’.

Alla successiva domanda, riguardo al fatto se tale situazione si verifichi anche in Francia, la scrittrice replica che ‘la Francia oggi non fa sognare. La classe politica, il contesto internazionale, la paura degli attentati. C’è poco entusiasmo e si regredisce’.

Alla luce delle risposte della Slimani, oltre ovviamente al contenuto del libro, viene spontaneo identificare ben più di un orco nel romanzo.

Il sesso e il marito, ma anche la moglie e la stessa vita che Richard e Adèle conducono per gran parte delle ore della loro giornata.

Avrebbero molte occasioni per amarsi e per godere pienamente della loro vita. Ma non riescono a farlo, al pari di tutti i personaggi del romanzo. Fatta eccezione forse per i genitori di Richard, che vivono in campagna e sembrano immedesimarsi pienamente nella vita di provincia.

Nessuno nel romanzo è felice. Come se qualcosa di esterno a ciascun personaggio impedisse loro di raggiungere un ragionevole stato di benessere.

Una sorta di impotenza e di blocco.

L’orco dell’amore mancato, l’orco della tristezza, l’orco della incapacità di ascoltare ed entrare in rapporto non fugace con gli altri, amici e familiari inclusi. Che blocca le nostre vite ma anche quelle degli altri e di pezzi interi della società in cui viviamo.

Il tema non è certo nuovo, ma Leïla Slimani lo reinterpreta, senza moralismi e con una precisione chirurgica.

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