Firenze – Fondato alle fine degli anni ’70, il Festival Internazionale di Cinema e Donne, diretto da Paola Paoli, arriva quest’anno alla 42esima edizione, e per la prima volta sarà visibile online, a causa dell’emergenza sanitaria, dal 25 al 27 novembre sulla piattaforma Più Compagnia (www.cinemalacompagnia.it).
Ed è proprio l’attualità a rendere più essenziale e stringente l’esigenza di un festival che focalizzi l’attenzione sulle problematiche femminili, in un momento nel quale la pandemia in atto, con la conseguente crisi economica, rischia di marginalizzare ancora di più il ruolo delle donne nel mondo del lavoro e nella società, mentre la chiusura nelle proprie abitazioni, con il lockdown, acuisce le tensioni familiari, facendo registrare un aumento dei casi di violenza domestica e di femminicidio.
“Il cinema sotto la pandemia riguarda molto le donne – dichiarano le condirettrici, Paola Paoli e Maresa D’Arcangelo – che vedono il loro mondo rientrare entro i confini della casa, da cui è sempre più difficile uscire. Quando abbiamo concepito questo programma dal titolo/tema Realiste e Visionarie avevamo ben presente il rischio di restare confinate nella nostra terra di mezzo ma c’era anche l’opportunità di riuscire ad ampliare l’audience del festival attraverso le piattaforme e l’online. Si tratta quindi di un’occasione da non sprecare, viaggiando attraverso il tempo sospeso dei sogni, il regno del cinema, per arrivare alla realtà delle donne di ora e del loro sguardo indagatore. Questo legame tra presente e passato si fa ora più chiaro, sotto tutte le latitudini. Diventa stile. Le registe “realiste” attingono alla storia, usando il materiale d’archivio con spregiudicata baldanza, mischiando insieme ricerca di radici personali e politiche, restituiscono epoche e atmosfere. Le registe “visionarie” sono dominate dall’audacia di immaginare altri mondi e di abitarli alla giusta distanza, quella della fantasia e del rigore. Un mix eccezionale e una raccolta di premi importanti, che però non hanno ancora dato accesso alla distribuzione”.
Programma Festival Internazionale di Cinema e Donne
25 novembre – Giornata mondiale contro la violenza sulle Donne
Mercoledì 25 novembre, per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il festival propone due opere: firmata dalla regista spagnola Xiana do Teixeiro, Tódallas mulleres que coñezo, film che mostra, in bianco e nero, tre conversazioni tra donne di diverse età e classi sociali, tra fiction e documentazione (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 25/11); la seconda, firmata dal regista toscano Tommaso Santi, pratese pluripremiato ai Globi d’Oro e al Premio Solinas, è il corto Lontano da qui, che apre la strada ad uno sguardo inedito sulla società e sull’universo femminile (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 25/11).
Le anteprime internazionali
In anteprima assoluta, Nasrin, documentario del 2020 diretto da Jeff Kaufman e prodotto da Marcia Ross per la Floating World Pictures (disponibile dalle 10.00 di giovedì 26/11). Il film è incentrato sulla straordinaria Nasrin Sotoudeh, la famosa avvocata attivista per i diritti umani in Iran. Ha difeso intellettuali, dissidenti e le ragazze che scendevano in strada senza velo a Teheran e in altre città. Gli autori delle lunghe sequenze del film girate in Iran, addirittura dentro il carcere, restano anonimi perché questa meritoria attività clandestina potrebbe costare loro molto cara. Nasrin Sotoudeh è attualmente in libertà provvisoria fuori dal carcere ma questo film è un modo per sostenere la sua lotta e partecipare a un movimento di protesta sempre più ampio.
Altra attesa anteprima al festival è Delphine et Carole, insoumises (disponibile dalle 10 di giovedì 26/11), di Callisto Mc Nulty, nipote di Carole Rossoupoulos, pioniera del video e del rapporto tra femminismo e cinema. Si tratta della storia d’amicizia e complicità tra due donne: l’attrice Delphine Seyrig e la regista Carole Roussoupoulos. La prima simbolo della Nouvelle Vague francese e diva acclamata – un titolo per tutti, L’anno scorso a Marienbad, di Alain Resnais ma anche attrice prediletta dalle registe più estreme e sperimentali da Chantal Akerman (straordinaria in Jeanne Dielman,23 quai du commerce 23, 1080 Bruxelles) a Marguerite Duras (indimenticabile in India Song), fino a Pull My Daisy di Robert Frank, dove è stata a fianco di Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Diva francese per gli americani e americana per i francesi, quando in realtà era di nazionalità svizzera, così come Carole Rossoupoulos che, innamorata subito della grande libertà promessa dalla video-registrazione, acquistò il secondo Portapak venduto in Francia (si trattava della prima videocamera in commercio). Insieme organizzarono collettivi di attrici, manifestazioni, squadre di “pronto intervento video” e infine un efficacissimo centro di documentazione. Il film, con la scelta di materiali d’archivio molto rari, racconta la stagione d’oro del Femminismo e la forza del suo sogno insolente e intransigente che alimenta ancora l’ispirazione delle registe.
L’uso dei materiali d’archivio e la loro forza descrittiva e immaginativa, sono all’origine anche del film Cuba’s Forgotten Jewels: a Haven in Havana (2017, film disponibile dalle 10.00 di giovedì 26/11), di Robin Truesdale e Judy Kreith. Marion Finkels, la mamma di una delle due registe, è all’origine della storia: aveva quattordici anni quando lei e la sua famiglia fuggirono dall’Europa occupata dai nazisti e navigarono attraverso l’Oceano Atlantico, trovando rifugio sicuro a Cuba. I rifugiati che sono arrivati a L’Avana, tra cui la giovane Marion, hanno trovato lavoro per sostenere se stessi e i loro familiari in un commercio in grande ascesa: la lucidatura dei diamanti. Racconti di sopravvissuti in prima persona ci riportano all’Avana del 1940, per rivelare una storia vincente dell’immigrazione. Quando, alla fine della guerra, i tagliatori di diamanti e le loro famiglie raggiunsero San Francisco e Miami, la fiorente industria svanì da Cuba e della vicenda si perse la memoria. Quella pubblica, naturalmente, non quella privata dei protagonisti. L’anteprima italiana di questo film è frutto della collaborazione del Festival Internazionale di Cinema e Donne di Firenze con i JDC Archivies di New York, The National Center for Jewish Film, (Direttrice Linda Levi) e Università di Firenze (Prof.ssa Giovanna Campani-Antropologia di Genere).
Una giovane maestra polacca, Malgorzata Szumowska, presenta al festival il film con cui è emersa a Berlino all’attenzione internazionale, Corpi, che racconta una difficile relazione tra padre figlia e un disturbo grave di bulimia (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 25/11), con a fianco il personaggio di una terapeuta che si affida allo spiritismo. I corpi sono il vero oggetto del film: giovani e vecchi, fermi e in movimento, vivi e morti. Ridiamo del macabro come in una dark comedy. Nessun cedimento sadico ma un tentativo di acquisire consapevolezza e sconfiggere la paura. Il film si dispiega così in una continua dialettica tra pesantezza e leggerezza, tra profondità e superficialità, tra distrazione e concentrazione ed è in questo labirinto di contrasti che oscillano i corpi della storia.
La hija de un ladròn, lungometraggio d’esordio di Belén Funes, è un esempio di cinema sociale molto vicino a quello dei fratelli Dardenne (disponibile dalle 10.00 di venerdì 27/11). La realtà è al centro ma non protagonista in senso neorealista. I luoghi e i problemi sono importanti ma costituiscono lo sfondo, l’ambientazione di una vicenda. La giovane Sara vive una vita anomala, di quelle ormai ben diffuse in tutte le periferie non del terzo mondo ma della ricca Europa. Abita in una casa procurata dai servizi sociali: entrambe hanno un bambino. Impotenza e mancanza di riferimenti imperano e se il padre del bambino è inaffidabile, il padre di Sara è addirittura pericoloso. Ma la giovane donna adotterà il fratellino pur di non farlo crescere con lui. Un film costruito con ritagli di vita legati dalla routine di sopravvivenza, dal vivere l’immediato presente; poiché è impossibile pianificare un futuro ma in tutti casi occorre battersi per farlo. La hija de un ladrón, vincitore di diversi premi tra cui il Goya e Gaudì, è un film autentico e introspettivo, che riesce ad abbracciare con grande sensibilità una storia di solitudine, di perdita e di quanto sia faticoso costruirsi una gioia ai margini della società. Un film piccolo, ma di portata universale.
Dall’Ungheria arriva una commedia molto acuta sull’amore al tempo delle donne falsamente emancipate e degli uomini non più compagni: Hab, della talentuosa Nòra Lakos, già autrice di corti pluripremiati, qui al suo primo lungometraggio di fiction (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 25/11). Brillante la metaforica ricerca di una “dolce vita” sognata in pasticceria, mentre si attribuiscono ai pasticcini appena sfornati i nomi delle immortali coppie di Hollywood.
Il film più visionario del Festival appartiene ad una sezione ormai consolidata del festival, Uma casa portuguesa: A portuguesa, di Rita Azevedo Gomes. Siamo nel Sud Tirolo, vicino a Bressanone, al tempo delle lotte per l’investitura tra Impero e Chiesa, dunque tra X e XI secolo, in un castello su dirupi alpini, mentre il suo signore di nome Von Ketten è in guerra col vicino vescovo di Trento per il controllo di certe terre (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 27/11). La Azevedo Gomes scaglia il suo racconto in uno spazio-tempo astratto, a sottolineare lo scarto rispetto al reale e al verosimile, sullo sfondo di una natura non connotata come alpina; stilizza ambienti, costumi e decori per sfuggire a ogni precisa attribuzione storico-geografica, trasformando così la storia dell’irrisolto matrimonio di von Ketten con la sua sposa, venuta dal Portogallo, in un’ipnotica liturgia laica che comprende l’acquisizione di una inaspettata autonomia d’azione. La straniera legge, canta, suona, balla, nuota e cavalca nella foresta. Si concretizza, così, un dialogo privilegiato con la natura, gli animali, gli alberi amatissimi. Tra l’uomo d’armi sempre lontano e la castellana solitaria si ristabiliscono le equivalenze ambigue Uomo/guerra Donna/pace. Forse anche una parabola sull’inconciliabilità tra dominanti e dominati. Forte il segno dell’amicizia e collaborazione della regista con il Maestro indiscusso del cinema portoghese Manoel De Oliveira.
Le autrici italiane
In programma, per le autrici italiane, Il tesoro, di Nicol Zacco, una storia che è anche una favola colorata. C’è una casa in campagna, una tazza di pennarelli e una Cinquecento rossa. Soprattutto compaiono dei veri tesori: due nonni amorosi e una nipotina intelligente e sognatrice.
Histoire d’H, della fiorentina Silvia Lelli (Antropologa Culturale per l’Università di Firenze, documentarista, etnografa, scrittrice), racconta in prima persona la storia dell’incesto pedofilo subìto, le dinamiche e le conseguenze portate addosso per tutta la vita, con lucidità impressionante, con la forza e la chiarezza di chi vuole cambiare la storia delle relazioni tra i sessi e tra le generazioni. Un film definito dalla stessa autrice una “performance terapeutica e lirico-politica” (disponibile dalle 10.00 di mercoledì 25/11).
Solo no, di Lucilla Mannino, racconta, con piglio sperimentale, la storia di Cecilia, prima donna di un teatro destinato ad essere distrutto per far posto ad un supermercato. Cecilia di barrica al suo interno e con il suo corpo fa ostacolo alla barbarie che sta per consumarsi. Lei (Anna Teresa Rossini) è anche Cho Cho San, Madama Butterfly e Signora Pinkerton, la più tradita delle eroine. Accanto c’è la fida e pragmatica Suzuki (Francesco Zecca), attor giovane destinato ad ereditare, nonostante tutto, la passione per il teatro e per l’arte (disponibile dalle 10.00 di venerdì 27/11).
Alessia Bottone, con La Napoli di mio padre, riesce a capire a cosa pensava e cosa vedeva suo padre quando si affacciava alla finestra (disponibile dalle 10.00 di giovedì 26/11). Il ritorno a Napoli si trasforma quindi in un’occasione per raccontare il viaggio di una vita e conoscere le proprie origini. Perché per quanto lontano possiamo andare, torniamo sempre là, dove tutto è iniziato. La relazione col padre e l’emigrazione sono i temi di questo film che nasce dalle scelte innovative dell’Aamod. (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico). Una rivoluzionaria strategia “no logo”, che permette e incoraggia l’utilizzo libero dei suoi preziosi materiali d’archivio, in un nuovo contesto narrativo, come testimoniato dalle opere del Premio Zavattini.
Al festival sarà presentato anche il film italiano vincitore del concorso, il cortometraggio Off-identikit, di Veronica Santi, che racconta la storia della critica d’arte e curatrice Francesca Alinovi, trovata misteriosamente assassinata nel suo appartamento di Bologna (disponibile dalle 10.00 di giovedì 26/11). Il film prova a spiegare perché le donne nel mondo dell’arte sono spesso dimenticate in fretta. Veronica Santi è regista, critica d’arte, scrittrice e curatrice. Nel 2014 ha fondato Off Site Art, un’associazione di arte pubblica con sede all’Aquila.
Al Festival ospite una selezione di opere di Docudonna, manifestazione dedicata al cinema al femminelie di Massa Marittima, che proporrà documentari di registe internazionali.
Dalla Palestina, i corti sul tema COVID
Sette mini-documentari, quasi messaggi in bottiglia lanciati da un paese molto vicino, ma sempre più dimenticato dai media: Palestina. La Scuola di Cinema Shashat, (Schermi) utilizza i mezzi più leggeri e meno costosi per permettere alle ragazze di questa tormentata terra, nate e cresciute in stato d’assedio o in guerra, di esprimere i propri talenti anche comunicando e scambiando esperienze di cinema che oltrepassano, surfando sul web, confini e muri. I loro film rappresentano l’altra faccia della vita, contrapposta alle immagini imperanti di odio e violenza (disponibili dalle 10.00 di venerdì 27/11).
Emptiness, di Fidaa Ataya. Il mondo sembra vuoto e io non posso dormire. Il canto dice “La notte è lunga come un infinito filo di seta”.
Appointment, di Atar Jadili. Cosa è più pericoloso: portare il bambino all’ospedale pieno di malati per fare il test o restare a casa in preda all’angoscia per quello che potrebbe accadere?
All routine, di Amjaad Habalreeh. La vita concentrata nel laptop e lo sguardo incorniciato dalle finestre.
When Is the Wedding, di Maysa Alshader. Maysa trascorre il tempo del distanziamento forzato completando i preparativi del matrimonio, ma quando potrà indossare il suo bell’abito da sposa?
Messages, di Ala Desoki. La vita, il “mondo fuori”, entrano solo dai messaggi telefonici, Ala vorrebbe chiudere e addormentarsi. Amici, lavoro, passioni si perdono ma occorre resistere e non arrendersi.
Impossible visit, di Feda Naser. Il bimbo di Feda è irresistibilmente attratto da ciò che vede dalla finestra. Lei vorrebbe per lui i cieli azzurri della Palestina e tanti luoghi da visitare e conoscere in libertà.
The moment, di Dina Amin. Durante il lockdown la filmaker si rende conto che la sua vita si è trasformata in una maratona senza fine.
Presentazione di libri
Saranno due i libri, presentati al Festival Internazionale di Cinema e Donne, che raccontano la violenza di genere, da diverse angolazioni: Intervista alla sposa, di Silvio Danese, intervistato da Emanuela Piovano e Come in un labirinto di specchi, di Silvana Mazzocchi intervistata da Enrico Deaglio.
Fotogrmma da Todas la Mulleras que Conozco