Rapporti internazionali, il principio (poco) segreto dei “due pesi e due misure”

Parma – Qualche tempo fa ho scritto a proposito delle tratttive tra l’Iran e il P5+1, i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti)  più la Germania, e l’Unione europea. L’obiettivo è il Piano d’Azione Congiunto Globale (JCPO), l’accordo di Vienna (14 luglio 2015), in base al quale l’Iran limita il suo programma nucleare in cambio del ritiro delle sanzioni economiche. Ci auguriamo il successo delle trattative, perché il mondo è più sicuro se ci sono meno atomiche in giro. Ma non possiamo non notare che Francia, Cina, Russia, Regno Unito e Stati Uniti detengono molte armi nucleari: Stati Uniti e Russia ne hanno moltissime, USA 5550, Russia 6255; si aggiunga che anche Israele, tanto attivo nell’ostacolare l’Iran, possiede armi nucleari, circa 90. 

Ho chiamato questo “strabismo nucleare”.  Vi sono molti altri casi di strabismo, o, più semplicemente di valutazioni non eqilibrate nellle situazioni internazionali. 

Un esempio. 

Negli ultimi tempi si è assistito a un allarme per l’aumento delle spese militari in Cina. Eppure, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nel 2020 la Cina è ancora largamente al di sotto degli USA. È ben vero che la Cina ha continuato ad aumentare la sua spesa, ma gli USA, con i loro 778 miliardi di dollari, rappresentano il 39% della spesa militare mondiale nel 2020. 

 Perché allora denunciare solo le enormi spese della Cina?  

Solo Papa Francesco denuncia con forza tutto questo enorme –e pericoloso– spreco: “La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo –ed è scandaloso– non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi” (messaggio Urbi et Orbi). 

Un altro esempio. 

I Talebani sono stati armati e finanziati daagli Stati Uniti quando combattevano contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Dal 15 agosto 2021 sono tornati al potere e purtroppo hanno imposto una interpretazione restrittiva della shari’a (legge islamica): hanno bandito tutte le forme di spettacolo televisivo, musica e danza, proibito il lavoro femminile ed escluso le donne da forme di istruzione mista, cancellando così le poche conquiste realizzate durante la presenza americana e suscitando la giusta indignazione dei paesi democratici.

Anche nell’Arabia Saudita è stato imposto alle donne il rispetto delle regole della shari’a, compreso il velo e l’obbligo di sedersi in posti riservati, ai quali possono accedere solo da un’entrata speciale. La donna saudita è sottoposta alla tutela di un parente maschio; il tutore le impedisce qualsiasi forma di emancipazione: non può viaggiare, sposarsi, lavorare o accedere all’assistenza sanitaria senza il suo permesso. Delitti d’onore e molestie sono all’ordine del giorno. Nell’aprile 2021 la 19enne Hadeel Al-Harithi è stata data alle fiamme da suo marito e suo fratello solo per aver avuto un account Tiktok attivo. Amnesty International ha documentato anche il ricorso alla pena di morte come arma politica contro i dissidenti appartenenti alla minoranza musulmana sciita. Secondo Amnesty International “negli ultimi anni si sono susseguite delle riforme volte a migliorare la condizione della donna nel Paese, ma malgrado ciò, le donne e le ragazze saudite hanno continuato a subire discriminazioni nella legge e nella prassi, senza essere sufficientemente protette da abusi sessuali e altre forme di violenza”. 

 Nel Global Gender Gap Report 2016 del World Economic Forum l’Arabia Saudita si è classificata 141ª su 144 paesi rispetto alla parità di genere. Si aggiunga che sauditi erano quasi tutti gli attentatori alle Twin Towers e Osama bin Laden. I Talebani, al confronto, sono dei dilettanti. 

Nonostante tutto ciò, l’Arabia Saudita resta un alleato prezioso degli USA e indirettamente anche dei paesi democratici dell’Occidente. Le critiche, quando esistono, sono blande. 

L’Italia nel 2019 ha venduto armi per quasi 190 milioni di dollari ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che combattono in Yemen contro il movimento ribelle musulmano sciita Houthi. 

Un senatore del nostro Paese è arrivato a dire al principe Bin Salman (la persona che, secondo la CIA e l’ONU, autorizzò l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi) : “È un grande piacere e onore essere qui col grande principe ereditario saudita Moḥammad bin Salman. L’Arabia Saudita è il centro di un nuovo Rinascimento”. 

Terzo esempio. 

Come reazione alla fallita invasione di Cuba (invasione della Baia dei Porci, 1961) e alla presenza di missili americani in Turchia e in Italia, il leader sovietico Nikita Chruščёv accettò la richiesta di Cuba di installare missili nucleari sull’isola. Gli Stati Uniti, di fronte a una possibile minaccia presso i loro confini, si opposero e il mondo visse uno dei momenti più critici della Guerra fredda, arrivando vicino alla guerra nucleare. 

Alla fine l’accordo venne raggiunto e i missili sovietici non furono installati. 

Oggi si propone che l’Ucraina entri nella Nato, che è un’alleanza militare. L’Ucraina confina con la Russia, ai cui confini già altri stati fanno parte della NATO: Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia. Nessuna simpatia per Putin e il suo regime, ma non dovrebbe stupirci che la Russia si opponga. Invece in Occidente molti si indignano. 

Vi immaginate come reagirebbero gli Stati Uniti se, ai loro confini, Canada e Messico chiedessero di entrare in un’alleanza militare con la Russia? 

Mi pare evidente che anche qui si applicano due pesi – due misure, ma sia chiaro, queste considerazioni non potrebbero mai giustificare un intervento militare della Russia in Ucraina. 

Allargando lo sguardo, ricordiamo anche che nel 2020 al di fuori degli Stati Uniti c’erano 180.000 soldati americani: in Giappone 53.700, in Germania 33.900, in Corea del Sud 26.400, in Italia 12.200, nel Regno Unito 9.300; in altri nove paesi, tra cui Spagna, Turchia e Iraq tra i 1.000 e i 9.000; in ventuno paesi qualche centinaio.

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