Questo documentario di 98 minuti piuttosto brutali ma cinematograficamente ben fatto, con un titolo raggelante, Girlfriend in a coma, è stato girato e montato a Londra tra il 2011 e il 2012, e ha debuttato nella capitale Britannica per poi iniziare un giro in Europa e quindi in Italia. Rifiutato dalla direttrice del MAXXI di Roma, Giovanna Melandri, che lo ha ritenuto non idoneo in campagna elettorale, è arrivato martedì 19 febbraio al Verdi di Firenze nelle anteprime organizzate da Stefano Stefani, accompagnato dai due autori Bill Emmott (nella foto) e Annalisa Piras. A dir la verità rappresenta un’accusa neanche troppo velata ai danni causati dal berlusconismo, benché Piras ed Emmott abbiano sostenuto davanti al pubblico che il loro è un “tributo d’amore e di passione giornalistica”, per un’Italia massacrata dalla mafia e dalla corruzione, e inebetita da una TV voiyeristica, passivamente sorbita da un audience di semianalfabeti.
Emmott ce lo ricordiamo bene: fu lui a mettere Berlusconi in copertina su The Economist, titolando (tradotto): L’uomo che ha fregato (il verbo inglese usato è assai più esplicito) un intero paese. E Berlusconi lo attaccò dandogli di “comunista”. L’episodio è ripreso in questo documentario, mostrando i due che si incontrano e sentiamo Berlusconi promettere a Emmott di rilasciargli un’intervista da inserire nel filmato, promessa non mantenuta. Dunque l’idea di partenza è un libro “Good Italy, bad Italy” scritto dal giornalista inglese, e infatti vediamo i due aspetti del nostro paese in coma, raccontati per immagini cruente ((già tristemente viste) e attraverso le voci di personaggi tutti assai noti che accusano – senza parzialità – i potenti al governo (Saviano, Moretti, Travaglio, Eco, Toni Servillo, Guatteri ed altri) oppure imprenditori e capi d’azienda che esaltano le nostre bellezze e la nostra creatività unica e sicuramente, secondo il loro ottimismo, vincente (Elkann, Ferrero, addirittura Monti, quello che ancora non si era candidato!).
Le interviste che sono risultate meno digeribili per il pubblico molto partecipe sono state quelle a Marchionne, ritenuto uno che “non ama l’Italia”, e ai giovani possessori di ottimi cervelli in fuga, ormai stabilmente stanziati altrove, molti a Londra, e addolorati di non poter rientrare nel paese che nonostante tutto amano. Piras ha raccontato quanto impegno è stato messo nel raccogliere le testimonianze e quanto si è dovuto tagliare per ottenere un prodotto accettabile per lunghezza. Facendo un bilancio l’Italia “buona” qui è stata un po’ sacrificata e l’accento è stato messo sulla malattia terminale del nostro Paese, per lanciare l’ammonimento all'Europa che potrebbe fare la stessa fine, poiché il nostro declino è una malattia contagiosa, “prodotto di un collasso morale senza eguali in Occidente”.
La regista spera però che il documentario – che non è visibile in un regolare circuito e che ammica per tutta la durata a Dante, recitandone i versi – scateni una reazione nei più giovani e li induca a lottare “con tutte le forze affinché l’Italia possa uscire dalla crisi e possa cambiare in meglio”. La povera Italia che viene disegnata – da un’eccellente matita – come una disgraziata presa a pugni e a pistolettate, alla fine giace esanime. La fatidica scritta the end buca il nero dello schermo, ma mentre il pubblico in sala mugugna, depresso, sopra si aggiungono le parole: Questa non è…(la fine). I due autori hanno sottolineato che ci sarà presto un seguito. E lo aspettiamo, visto che da quando Girlfriend in a coma è stato girato un anno fa, Monti il tecnico, corre adesso per mettersi su una poltrona con gli altri politici, il papa si è dimesso (e nel filmato la chiesa non è risparmiata quale complice), e fra poche ore la “cara ragazza” dura a morire, entrerà nel suo 62° governo. www.girlfriendinacoma.eu