Lo sguardo vellutato, l’aria principesca, una bellezza malinconica e commovente. Rachel Bespaloff – “elegante figlia del popolo ebraico” secondo le parole dello scrittore Marc Chapiro – è stata ritratta dai maggiori filosofi francesi del primo Novecento come una donna piena di grazia, avvolta da un’aura di fascino e di mistero. «Non faceva altro che ascoltare, ma ascoltava con tutta la sua persona: con le mani, con le labbra, con lo sguardo» così la descriveva Jean Wahl, suo amico e destinatario di lettere mirabili, scritte “sul fondo più lacerato della storia”. “Patrizia della spirito”, “acrobata dell’infinito” – diceva di lei lo storico Daniel Halévy.
Ma chi era Rachel Bespaloff? E perché il suo nome affiora solo oggi nel Pantheon dei filosofi del XX secolo?
Rachel nasce nel 1895 da una famiglia ebreo-ucraina molto colta e sionista. La famiglia si trasferisce presto in Svizzera. Rachel si diploma in virtuosismo al Conservatorio di Ginevra, impara l’arte della danza alla scuola di Jaques-Dalcroze, e diventa una stimata pianista e direttrice d’orchestra. Alla musica, alla danza e al ritmo consacrerà i suoi primi scritti degli anni Venti.
A soli vent’anni comincia a insegnare Letteratura francese nel collegio per ragazze fondato dalla madre. Nel 1918, terminata la guerra, emigra a Parigi. La città è per lei una folgorazione, un amore a prima vista. In una lettera a Jean Grenier (il maestro di Camus) scriverà: «Ricordo quella prima mattina di agosto a Parigi, alle Tuileries, tanti anni fa. Venivo diritta da Ginevra. All’improvviso avevo la sensazione di essere finalmente a casa mia sulla terra. È una sensazione che non avrei più avuto – che non avrei più avuto il diritto di provare».
Nella capitale francese, tra il 1919 e il 1922, insegna Musica ed Euritmica all’Opéra e all’Istituto Jaques-Dalcroze. Partecipa alla vita culturale della città, in particolare frequentando la casa di Lev Šestov, il russo che provoca in lei un vero e proprio «risveglio filosofico». In una lettera a Jean Wahl dell’8 novembre 1938 lo ricorda così:
«Io lo rivedo sempre al nostro primo incontro, in quel piccolo appartamento della rue de l’Abbé Grégoire, […] questo saggio che malediceva la saggezza, con quegli occhi chiari molto infossati (ci si stupiva sempre che fossero azzurri), quello sguardo di una tristezza così lontana, quella parola dapprima sorda, e quasi imbarazzata, che raggiungeva l’eloquenza senza alcuna enfasi… Ricordo il mio disagio – una sorta di perplessità irritata – tutti i “ma” e gli “eppure” che accorrevano troppo tardi in soccorso delle mie misere certezze frantumate – ricordo anche la mia gioia: tutto stava per cominciare, nulla di definitivo ancora…».
Il suo saggio su Šestov e Nietzsche offenderà il maestro, che sarà incapace di accogliere la critica come un vero tributo d’eredità. A casa Šestov, comunque, Rachel incontra, fra gli altri, lo storico Daniel Halévy. A lui suo marito affiderà in gran segreto gli scritti della moglie, certo del loro valore. E in effetti non sbagliava. Quei testi dalla fitta scrittura dedicati ai filosofi e agli scrittori del pensiero esistenziale (Kierkegaard, Gabriel Marcel, Julien Green, André Malraux) raggiunsero immediatamente le mani dei filosofi più noti: Jean Wahl, Jacques Maritain, Gabriel Marcel. Il passo per la pubblicazione fu breve. Il nome di Rachel Bespaloff comincia così a circolare tra le riviste più prestigiose della Francia degli anni Trenta finché, nel 1938, la casa editrice Vrin raccoglie i suoi saggi in un volume dal titolo Cammini e crocevia.
Mentre Rachel trova il proprio posto fra gli intellettuali di Parigi, la sua vita è attraversata da profonde inquietudini. Problemi economici la obbligano a lasciare la capitale con la famiglia. Comincia il suo esilio, che la conduce prima nel Sud della Francia, poi, con l’avvento del nazismo su suolo francese, negli Stati Uniti. Per un anno lavorerà alla radio di New York La Voix de l’Amérique e pubblicherà il suo secondo libro: Sull’Iliade, una lettura originale del poema, punto luminoso in tempo di guerra:
«Mi sono aggrappata a Omero – è stato il vero, il suono, l’accento, il linguaggio stesso della verità».
Sarà il suo secondo libro pubblicato in vita: in francese, con la Prefazione dell’amico Jean Wahl. In inglese, con la traduzione di Mary McCarthy e l’Introduzione di Hermann Broch, nella prestigiosa collana della Bollingen Foundation ideata da Jacques Schiffrin. Infine, con l’aiuto dell’amico Jean Wahl, insegnerà Letteratura francese al Mount Holyoke College in Massachusetts. Amatissima dagli studenti e apprezzatissima dai colleghi, resterà lì fino al 1949, anno del suo suicidio.
Gli scritti degli anni francesi, pubblicati fra il 1932 e il 1942, compongono oggi, dopo oltre 70 anni dalla morte, il primo volume delle sue opere complete uscito per Castelvecchi con il titolo L’eternità nell’istante (Prefazione di Monique Jutrin, a cura mia e di Laura Sanò, pp. 672, prezzo: 30 euro). Un’operazione editoriale importante (a cui faranno seguito altri 3 volumi) per riscattare dall’oblio l’opera di una intellettuale difficilmente classificabile, che è stata al cuore di una delle stagioni più fertili del pensiero francese novecentesco.
La riflessione di Rachel Bespaloff si inscrive all’interno di un pensiero esistenziale che darà i suoi frutti soprattutto nella seconda metà del secolo. Rachel è fra le prime in Francia a commentare Essere e tempo di Heidegger, quando l’opera del filosofo di Marburgo non è ancora stata tradotta in francese. Sarà anche fra le prime a scrivere un commento all’opera di Albert Camus. Il suo pensiero è completamente attraversato dalla questione della morte, che avvolge l’Europa fra le due guerre. Eppure, con il suo dire poetico, la sua lingua cesellata e la sua vasta ricerca – sempre in dialogo con la voce dell’Altro –, Bespaloff matura una poetica dell’istante creatore in grado di fronteggiare l’abisso. L’opera frutto di creazione costringe infatti «la necessità a scomparire per un istante di fronte alla propria immagine liberata». «Questa forma quasi inattaccabile, quasi immortale, resiste e rinasce all’infinito».
È qui che il pensiero di Rachel Bespaloff confluisce con l’etica. Etico è per lei l’atto di chi, nello sgomento della storia, riesce a ricorrere alle proprie risorse impreviste per fronteggiare il destino che lo schiaccia. Nella tensione viva e mai risolta tra baratro e atto creatore risiede la potenza del suo gesto speculativo. Un’eredità tutta da scoprire, da cui poter trarre una lezione decisiva sull’importanza del linguaggio e della poesia per l’elaborazione di un pensiero etico.
Il secondo volume delle opere, che conterrà gli scritti degli anni americani (1942-1949) e che sarà curato anche da Claude Cazalé Bérard, verrà pubblicato alla fine del 2023. Altre scritture inedite dovranno poi seguire, nella speranza che le opere di Rachel Bespaloff possano suscitare in qualcuno ciò che Gabriel Marcel già auspicava negli anni Cinquanta: «Quanto vorrei che questo piccolo volume […] risvegli in qualche essere una sorta di amore nostalgico per questa creatura di Dio». Con lo stesso augurio abbiamo affidato al mondo i suoi scritti, che ci spronano a credere che «c’è, ci sarà sempre, un certo modo di dire il vero, di proclamare il giusto, di cercare Dio, di onorare l’uomo, che ci è stato insegnato all’inizio e non cessa di esserci insegnato di nuovo, dalla Bibbia e da Omero».
In foto Rachel Bespaloff