Firenze – Questione abitativa, il problema si allarga. Al netto dei circa 130 sfratti al mese che subisce la città di Firenze, delle non-risposte arrivate dalla politica, che ha ignorato il tema in campagna elettorale e che continua a silenziarlo in questi primi approcci post elettorali (Sunia e Cgil, ricordiamo, hanno proposto la creazione di un Ministero per la Casa), abbiamo cercato l’analisi e il parere di un esperto, il professor Agostino Petrillo, professore associato Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano a cui abbiamo posto alcune domande relative all’abitare.
La questione dell’abitare sta riemergendo come primaria nelle nostre società occidentali, tanto più che sembra coinvolgere anche strati sociali che, in particolare in Italia, si ritenevano al sicuro rispetto alla precarietà abitativa: si sta parlando dell’illusione del “tutti proprietari” che ha invaso l’Italia in particolare a partire dagli anni ’90, ma anche delle fasce sociali della piccola e media borghesia che stanno entrando con celerità nel sistema dei working poors. Un altro aspetto, di fronte a un problema che va a toccare la stessa stabilità sociale, è l’impermeabilità della politica al tema. Qual’è la sua analisi?
“I prodromi di quanto sta accadendo vanno ricercati in politiche errate, nella illusione, coltivata in particolare dai Paesi dell’Europa meridionale, che il problema della casa fosse stato risolto una volta per tutte, o che ci si avviasse a risolverlo definitivamente trasformando i cittadini in proprietari. L’abbandono, da parte di Spagna e Italia, dei programmi di edilizia popolare, e nel nostro Paese la cessione di parte del patrimonio pubblico (avviata in grande stile dal 1993, con la legge Nicolazzi), hanno creato le premesse per l’esplodere di uno scarto tra domanda e offerta di alloggi, che diviene oggi drammatico in realtà metropolitane come Barcellona, Roma, Milano. Nel nostro paese inoltre l’investimento nel mattone è diventato il rifugio di capitali che non venivano più impiegati nell’industria. Gli anni Novanta sono centrali per questa trasformazione: predominano in questo periodo gli investimenti privati, e si diffondono in tutta Europa quelle forme di rinnovamento dei quartieri centrali legati a profondi mutamenti della stratificazione sociale urbana che vanno sotto il nome di gentrification, il cui motore occulto e remoto sono gli sviluppi dell’economia internazionale, la crescente mobilità e centralizzazione dei capitali”.
La cosiddetta gentrification è quindi l’elemento necessario e il segnale dell’avvio della finanziarizzazione nel settore immobiliare?
“L’immobiliare diviene sempre più centrale nei processi di finanziarizzazione dell’economia, e viene utilizzato in termini anti-ciclici, alla stessa stregua di prodotti finanziari “puri” quali derivati e futures. La casa non vale per quello che è il suo valore attuale, ma per quanto potrebbe valere se il quartiere fosse rinnovato e “riabitato”. Naturalmente per avvalorare questa visione il rinnovamento urbano e la rivalorizzazione devono avere luogo in qualche parte della città, in modo da giustificare l’idea del potenziale valore futuro. D’altro canto va anche detto che la tendenza “proprietarista” era fortemente sostenuta, in Italia e in Spagna Novanta da un duplice processo, che, se vedeva per un lato affermarsi la finanziarizzazione della rendita, era per altro verso anche il risultato del declino degli investimenti nell’industria, con il conseguente spostamento di capitali in cerca di valorizzazione nel mattone e la trasformazione delle banche in banche di investimento. Naturalmente non erano estranei alla trasformazione del popolo dell’affitto in un popolo di proprietari anche altri fattori di tipo politico e socio-antropologico, familismo ecc. La politica italiana ha ritenuto la questione della casa “risolta” quando ha visto che le percentuali di casa in proprietà cominciavano ad aggirarsi su cifre intorno allo 80% senza rendersi conto che circa un 20% di questa cifra erano alloggi acquistati con mutui, che rimanevano quindi fondamentalmente proprietà delle banche fino allo spirare del mutuo, e senza valutare che una simile situazione avrebbe voluto dire il blocco dell’accesso alla casa per i giovani e per i meno abbienti e avrebbe avuto conseguenze pesantissime sulla mobilità spaziale nel paese, rendendo residuale il mercato dell’affitto. Una follia è stata anche lo sbarazzarsi di una parte del patrimonio pubblico svendendolo, eliminando così un elemento importante di manovra sul mercato e di eventuali interventi di calmiere, come avviene per esempio in città europee dove vi è una forte componente di edilizia di proprietà pubblica”.
Qual è stato il meccanismo che ha reso il mercato dell’affitto incapace di rispondere alle nuove esigenze?
“In Italia come risultato della contrazione dei redditi e dell’aumento dei prezzi degli alloggi diventava sempre più difficile, soprattutto per le generazioni del lavoro precario, accedere all’abitazione come proprietari, mentre un mercato dell’affitto ormai estremamente ridotto non riusciva a fare fronte a una domanda in espansione e con caratteristiche diverse dal passato. Mutavano le strutture della famiglia, i migranti cercavano una sistemazione abitativa, e cresceva l’esigenza di mobilità spaziale come conseguenza del diversificarsi delle carriere lavorative, frequentemente giocate su più luoghi e in città diverse. In questo senso l’esplosione della bolla immobiliare nel 2008 non ha fatto altro che esasperare una situazione che era già difficile, innescando meccanismi di espulsione, legati sia all’impossibilità di continuare a sostenere il pagamento delle rate dei mutui da parte di chi stava perdendo il lavoro, dall’altro a procedure di sfratto legate a situazioni di indigenza e di mancanza di reddito.
Che ruolo ha giocato la pandemia nel riproporsi della questione abitativa?
“I due anni della pandemia hanno peggiorato ulteriormente la situazione, vuoi per una accresciuta speculazione immobiliare nei grandi centri, in particolare a Milano, sia per l’impoverimento di una parte della popolazione che oggi non è più in grado di pagare i mutui ed è a rischio di perdere la casa acquistata. E’ il caso per esempio di moltissimi migranti, che credevano di avere risolto il loro problema abitativo e oggi si ritrovano a rischio di tornare in mezzo alla strada. Per molti la pandemia ha significato perdere opportunità lavorative, trovarsi senza reddito. Attualmente ci sono circa 130.000 sfratti esecutivi nel paese, vale a dire quasi il doppio dei dati degli anni pre-pandemici. Inoltre le grandi piattaforme della logistica, della consegna a domicilio, hanno accumulato enormi profitti che spesso hanno reinvestito nel mattone, creando una spirale di aumento dei prezzi che in alcuni casi come a Milano è diventata vertiginosa, rendendo pressoché impossibile l’accesso alla casa non solo alle fasce in difficoltà ma anche agli stessi ceti medi. Una parte crescente degli abitanti a reddito medio-basso è costretta ad allontanarsi dal centro, mentre per un perverso effetto domino crescono i prezzi anche in quartieri un tempo considerati periferici. E la periferia cresce. A Milano come a Roma, i margini dell’urbano si estendono sempre più lontano: sono a mezz’ora, a quaranta minuti dal centro – alla faccia degli sbandierati propositi di realizzare “città a 15 minuti”. A Berlino, come effetto della concentrazione della proprietà immobiliare nelle mani di poche società, in pochi anni i prezzi degli affitti sono andati alle stelle, per non parlare di Parigi o di Lisbona”.
Ci sono tentativi di correttivi in Europa?
“In Germania il programma della coalizione “semaforo” prevede il rilancio in grande stile di una campagna di edilizia popolare pubblica da centinaia di migliaia di alloggi ogni anno; a Parigi l’amministrazione della città cerca di contrastare il potere delle grandi immobiliari riducendone l’impatto; a Barcellona, dove ormai il 20% delle transazioni immobiliari è operato da grandi società, la sindaca, Ada Colau, ha cercato di frenare l’aumento dei prezzi con una nuova e discussa legge sugli immobili di cui non è ancora chiara la ricaduta complessiva. Nel Regno Unito si sta cercando di provvedere con dei programmi di “zona”, tarati sulle necessità abitative dei singoli quartieri. In Italia, invece, pare che lo slogan più apprezzato dalla maggioranza dei partiti sulla questione casa sia il classico motto “quieta non movere”. Mentre buona parte dei quattrini del Pnrr rischia di trasformarsi in una ennesima colata di cemento, tra facciate e grandi opere, il problema della casa rimane sostanzialmente irrisolto; e anzi ogni volta che la politica prova ad affrontarne alcuni aspetti, come ha mostrato tutta la vicenda della votazione in parlamento sulla razionalizzazione del catasto, rischia di uscire sconfitta. Il nodo, però, prima o poi andrà affrontato, e speriamo che non si debbano attendere esempi e buone pratiche che giungono da altri paesi dell’Unione per cominciare a provvedere a una questione che è sempre più centrale”.
In foto il professor Agostino Petrillo