L’outing di Pierluigi Castagnetti sull’edizione odierna della Stampa è sincero quanto tardivo. Il più importante sceneggiatore della politica reggiana degli ultimi decenni ha in sostanza ammesso, concedeteci la traduzione per necessità di sintesi, che tutta o quasi l’attuale classe dirigente italiana ha una sua parte di correità morale nel fallimento civile del nostro Paese. Laddove per fallimento civile intendiamo la distanza siderale che separa il popolo del Belpaese dal palazzo italico. Quella che ciechi e interessati parassiti della cosa pubblica si affannano a definire populismo o qualunquismo senza volersi rendere conto che l’antipolitica ragionata è oggi l’unica forma sensata di partecipazione.
Distinguendo necessariamente tra responsabilità soggettive da codice penale e la ratio contenuta nell’intervista di Castagnetti, è difficilmente confutabile che tutti gli attori politici degli ultimi tempi hanno, nella migliore delle ipotesi, rubato lo stipendio pubblico (e che stipendio) senza fare nulla per evitare il disastro. Facendo parte di partiti famelici che hanno sistematicamente ribaltato istanze e desideri dei governati. E che hanno dovuto vigliaccamente demandare ad un governo tecnico installato dai poteri forti il compito di operare scelte impopolari per cercare di salvare la baracca. Certificando di fatto la loro completa inutilità, per non dire dannosità.
Monti e il suo entourage continuano a ribadire che stanno salvando la società Italia senza specificare però che lo stanno facendo a scapito della comunità degli italiani i cui conti non sono mai stati così disastrati. In questo scenario drammatico, destinato a peggiorare, i media continuano colpevolmente a dare enorme spazio alle farneticazioni fuori dal tempo dei vari Casini, Fini, Bersani e Berlusconi su destra e sinistra, comunismo e fascismo, laici e cattolici, mentre i politicanti di sempre, che siedono da mezzo secolo in Parlamento hanno come unisco scopo l’accanimento sulla legge elettorale. Per il continuo conteggio delle loro poltrone.
Per questo Castagnetti ha ragione da vendere nella sua ammissione su questa generazione di politici. E noi, andando oltre, vorremmo dimissioni di massa di questi inqualificabili personaggi che, nonostante l’apocalittico flop, continuano a “progettare” il nostro futuro a 70 e 80 anni suonati. L’abominevole gerontocrazia italiana, che chiama giovani gli ultrasessantenni che dovrebbero essere in pensione, è uno dei tumori da estirpare. Per evitare che anche le future generazioni che presto si affacceranno alla finestra della cosa pubblica, continuino ad adottare l’equazione politica=corruzione