Quando il Patto del Nazareno può generare mostri

Firenze – Ai tempi in cui c’erano i grandi partiti popolari e centralisti, accadeva con rigorosa razionalità politica che un’alleanza stretta a livello nazionale dovesse poi essere estesa anche alle giunte locali. Quando nei primi anni 60 del Novecento nacque il centro-sinistra, l’alleanza riformista fra socialisti e democristiani, progressivamente questa formula si estese a tutta l’Italia con qualche eccezione che confermava la regola. Il motivo è evidente: si trattava di alleanze strategiche e di lungo periodo per aggiornare la legislazione e ammodernare il Paese.

Oggi la geografia politica è cambiata e le autonomie delle componenti territoriali dei  singoli raggruppamenti oltre che delle istituzioni sono ormai un dato di fatto difeso con tutte le armi possibili. E’ dunque molto singolare quanto sta accadendo in Toscana nel processo di riforma della legge elettorale regionale.  Accade che il Patto del Nazareno, cioè l’accordo fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi per approvare la nuova legge elettorale e la riforma del Senato, venga tradotto in formula politica da riprodurre a Firenze per ottenere lo stesso obiettivo. In breve: per cambiare una legge elettorale che ha dato pessima prova di sé e che scoraggiava gli elettori piuttosto che motivarli a scegliere i propri rappresentanti, si deve partire da un accordo fra Partito democratico e Forza Italia.

Sgombro subito il campo dagli equivoci: è stato un colpo da maestro di Renzi quello di sbloccare l’impasse sulle riforme istituzionali coinvolgendo nei tempi e nei modi giusti il leader del  centro-destra qualunque sia la sua situazione politica e giudiziaria. L’approvazione dell’Italicum e, si spera, la vicina seppure sofferta approvazione della riforma del  Senato sono importanti passi avanti verso lo sblocco politico e istituzionale di un Paese ingessato che deve gran parte dei suoi problemi alla crisi della politica e al conservatorismo di una classe dirigente obsoleta.

Questo però non toglie che al Nazareno si sia stipulato un accordo che riguarda quei due fondamentali atti e che non ha affatto alcuna natura di strategia politica di lungo periodo. Anche perché su altri temi cruciali per il rilancio dell’economia i due partiti sono su fronti opposti.  Allora non ha senso né politico né tecnico blindare quel patto, soprattutto in Toscana dove dieci anni fa democratici e forzisti (allora pidiellini) avevano già trovato l’accordo su una legge elettorale che ha fatto purtroppo poi da modello per il famigerato porcellum con l’espropriazione della scelta dei rappresentanti ai danni degli elettori,  introducendo fra l’altro meccanismi come le primarie che, essendo facoltative, alla fine le faceva solo il Pd.

I risultati sono chiaramente visibili nel pasticcio che verrà discusso mercoledì 30 e giovedì 31 luglio dalla Commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale. Pur contenendo alcuni aspetti positivi, sottolineati da Robero D’Alimonte su Repubblica di domenica 27 luglio, come il doppio turno, il nuovo Toscanellum contiene soluzioni discutibili fra le quali spicca l’introduzione di un listino regionale facoltativo composto da tre candidati accanto alle preferenze, la cui eliminazione è stata uno dei segnali dell’involuzione della vita politica italiana. Rientra insomma dalla finestra quella tendenza a evitare il più possibile il vaglio del voto popolare e a riprodurre le sinecure di casta che tanto male ha fatto alla qualità di chi governa.

La discussione comunque è in corso e c’è tutto il tempo di rimediare, anche al di fuori dell’accordo fra Pd e Fi . Anzi c’è il tempo di studiare soluzioni che, sia mai , possano diventare quelle davvero giuste per tutto il Paese. Per farsi perdonare quel vecchio peccato che ha dato il viatico a Calderoli per fare la sua “porcata”.

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