Quello che c’era da sapere, filosoficamente parlando, sull’ineluttabilità della natura, l’avevano già scritto migliaia di anni fa i pensatori greci. Incarnando antropomorficamente nelle divinità più svariate, che non puniscono necessariamente né premiano se non di rado ma semplicemente sono, anche i diversi aspetti dei quattro elementi. L’uomo si può anche ribellare o contrastare gli effetti a suo modo di vedere più nefasti ma è tutto, o quasi, inutile. Dopo quella ancor oggi inesauribile lezione di vita, solo aggiustamenti, aggiunte o negazioni di una sacrosanta verità andate a cattivo fine. Gli dei elementali guardano da lassù e dall’Olimpo o dalle profondità dell’Oceano si scatenano, o si placano, punto e basta. Ma allora esiste il destino?
Il recente terremoto che si è abbattuto sull’Emilia (sperando nella clemenza del tempo verbale appositamente scelto) se da una parte ascrive gli avvenimenti alla categoria della catastrofe, dall’altra riporta il genere umano al suo inevitabile presente, fatto di sospensione, fragilità, attesa. Ed eterni rinvii. Le nostre decantate città, modelli sociali e di servizi per chissà chi, non sono troppo diverse dunque davanti ai cataclismi, di quelle più depresse del centrosud. Sono altrettanto fragili, inermi, in balìa degli accadimenti più grandi delle piccole organizzazioni che di volta in volta esse si danno. Anche le nostre città piangono lacrime e sprigionano sangue quando ferite al cuore, non c’è Pd o Lega Nord che tengano. E oseremmo dire da oggi in avanti, nemmeno grillismo alcuno.
Allora, ripetiamo, esiste il destino? Non proprio; anche se non sappiamo quando, possiamo da tempo prevedere dove e agire di conseguenza. Se è vero che i sismi non sono calcolabili, è altresì difficilmente negabile che gli strumenti oggi a disposizione potrebbero e dovrebbero essere in grado di ripararci maggiormente dai rischi cataclismatici. Potrebbero maggiori investimenti tecnologici e formativi, dovrebbero una politica e classi dirigenti più impegnate in rigide norme edilizie e a punire abusivi e inadempienti che ad architettar condoni. La scienza e la ragione cioè hanno tolto organi importanti (ma non tutti) al corpo informe della fatalità. Da alcuni anni, crescenti avvertimenti sismici ci dicono infatti che la pianura Padana è sottoposta a movimenti più frequenti che nel passato. I segnali sono da tempo eclatanti, l’orologio tellurico suona la sveglia con frequenza crescente.
Se proprio si deve trovare (ed è necessario esercizio di scrittura retorica in questi casi) uno sfogo positivo al terrore che l’altra notte ha accomunato milioni di italiani, al patrimonio artistico crollato, ai deceduti ed ai feriti e agli sfollati, è che i grandi eventi parzialmente indipendenti dalla volontà umana, riportano tutte le persone alla realtà più cruda ed immediata. Che resta da millenni la lotta per la sopravvivenza, davanti alla quale perfino i ballottaggi nelle urne o l’ultima tassa di Stato perdono del tutto importanza. Quelle scosse che hanno destato dal sonno, laddove i sogni ci cullano o gli incubi ci attanagliano, hanno sprigionato per l’ennesima volta energie telluriche in grado sì di distruggere le cose ma anche di accomunare i sentimenti atavici davanti a morte e distruzione. La paura, la fratellanza, la rinascita; la terra è Madre, Matrigna o Puttana a seconda di quanto accade, dei suoi imprevedibili meccanismi interni, delle scelte che facciamo su di essa.
Dopo un terremoto si perde sempre qualcosa ma si guadagna in umanità; le case hanno qualche crepa in più ma la sensazione del tempo e il sentire assieme l’orizzonte del nostro futuro ne hanno qualcuna in meno. Affrettiamoci però a ricostruire perché sta tornando Mario Monti dagli States, pronto a visitare i luoghi dello sgretolamento. Che venga in spirito di pace o per applicare un balzello “salva Italia” anche sui calcinacci?