Quando i social erano le campane: ricordi di Rita Visendaz, memoria di Ayas

Il docu-web realizzato con i super-8 girati negli anni 70 con il marito

Quando i social erano le campane. Quelle che con il loro suono, ora argentino e ora cupo, a volte leggero e altre alto e solenne, avvertivano tutti di cosa stava accadendo e la notizia circolava nell’intera  comunità . “Ho ancora negli orecchi tutti i diversi suoni che scandivano le nostre vite”, ricorda Rita Visendaz che ora è una signora di 85 anni che racconta la sua storia personale e la storia della sua comunità. Era  nata contadina negli anni ‘30 a Ayas, che non è un paese ma, fino dal medioevo, una federazione di trentacinque villaggi, ai piedi del Monte Rosa, nellalta valle dell’Evançon.

Lo fa all’interno del docu -web (https://untempo-inayas.it/) costruito su più di 200 bobine di film super8, il formato che usava allora, girato per amore di quel mondo in via di sparizione da Rita e suo marito Francesco tra il 1970  e il 1975, senza nessun progetto di come rendere usufruibili quelle quindici ore di materiale. Ci hanno pensato recentemente Rodolfo Soncini-Sessa e Guido Sagramoso, che in sei anni hanno restaurato e scomposto quella valanga di materiale e lo hanno ricomposto in  piccole unità, della durata di cinque-sei minuti, organizzate  in un sito web che lo spettatore può esplorare scegliendo lo spezzone che via via preferisce. Insomma “un insieme di video, interconnessi tra loro da una rete di relazioni: un documentario-rete. Qualcosa, per capirci, che sta a un documentario come una serie televisiva sta a un film, ma con la differenza che la sequenza dei video non è prefissata, ma scelta, interattivamente, dallo spettatore”, scriveva già il 21 dicembre 2022 Soncini-Sessa su thedotcultura.it a proposito delle prime due parti del lavoro.

Ora, dopo altri anni di lavoro,  arriva la terza e ultima parte del docu-web, Pagine di vita,  che aggiunge alle prime due, dedicate ai lavori nelle diverse stagioni e alle lavorazioni (la segale che diventa pane, il legno che si trasforma in sabots (zoccoli), i ricordi meditati e affettuosi di Rita che a Ayas era rimasta fino a 11 anni quando grazie alla generosità di Rosa Rivetti, moglie di un industriale tessile biellese, che la ospitò a casa sua a Biella, poté ottenne l’abilitazione magistrale e realizzare il sogno di tornare nella sua valle per insegnare e dove contribuì alla scuola media di Ayas.  Rita poi incontrò Francesco,  un ingegnere milanese che coinvolse nell’amore e nell’interesse per le tradizioni della sua valle. E così la vita di Ayas è stata consegnata alla nostra affascinata conoscenza.

Era un mondo che sembrava fermo nel tempo, governato dalle leggi della montagna  e dalle tradizioni che sembravano granitiche, dal lavoro e dalla buona volontà della sua gente, dal sorgere e dal tramontare del sole, dal bel tempo, dal vento, dalla pioggia, dall’avvicendarsi delle stagioni, dal forte senso di comunità. Una vita semplice in cui non esisteva il superfluo, ma non mancava l’essenziale, scandita dal succedersi delle stagioni che stabilivano un programma lavorativo sempre uguale e volto alla pura sussistenza.

A regolare la vita di questo mondo, quasi primitivo, era importante il suono delle campane, che ne sottolineava i momenti più significativi. E di campane ci parla Rita, in un video di quest’ultima parte del docu-web e ce ne ha parlato quando l’abbiamo intervistata.

“Nel silenzio, che i rumori del vivere quotidiano non riuscivano a scalfire, le campane parlavano. Dicevano l’inizio e la fine della giornata, ricordavano ai bambini l’ora della scuola e agli adulti che dovevano riunirsi per dei lavori di pubblica utilità.

Se una persona della comunità era giunta al termine del suo percorso terreno erano le campane a comunicare che il parroco stava andando a portarle il conforto della fede.

C’era un incendio o una grave calamità? Il suono concitato della campana chiamava tutti a raccolta. Addirittura se dallo Zerbion scendevano nubi minacciose verso il Colle di Joux le campane rispondevano con il loro suono più potente per ‘spaccare le nuvole’.

E che dire degli allegri carillons, spesso associati al maestoso suono della ‘Gran’, che annunciavano i giorni di festa, o accompagnavano le processioni o, più dolci e argentini, dicevano che un angioletto era ritornato in cielo? Il suono che accompagnava, e accompagna ancora, i defunti adulti verso la loro ultima dimora era più triste, costituito da una nota cupa e da una nota nostalgica.

Le fila di questo importante aspetto della vita quotidiana erano tenute dal marreuillé, il campanaro, coadiuvato da tutta la famiglia e, all’occorrenza, anche da altre persone del villaggio come quando, per le occasioni solenni, venivano suonate tutte le 10 campane contemporaneamente. Adesso molti di questi suoni tacciono, altri cercano di sopravvivere, ma la nostra vita rumorosa e farraginosa non ci permette più di dar loro ascolto e, soprattutto, poco a poco li sta svuotando del loro significato.”

Rita ci racconta anche che Tersilla Alliod, discendente di una famiglia di marreuillé che da parecchie generazioni svolgeva questo compito, ha lasciato un interessante documento sulle modalità con cui le campane venivano suonate a mano, fino al 1961, anno in cui vennero elettrificate. Tersilia annota scrupolosamente ogni particolare, compresi i nomi delle campane destinate ognuna a  uno scopo diverso, fin da quando le suonavano, in  tempi a lei lontani, e quando invece la corda era tirata dal suo nonno e dal suo babbo.  Lo scritto di Tersilla è stato posto a fianco del video Il ricordo delle campane, nel docu-web citato.

Nella descrizione che Rita fa, negli altri video della pagina Ricordi della sezione Pagine di Vita raccogliendo con pazienza i ricordi di un tempo così diverso, non mancano episodi divertenti. Da piccola, come tutti gli abitanti di Ayas, aveva calzato solo i sabots, che erano economici e resistenti, se si bagnavano bastava metterli per pochi minuti davanti al fuoco e se scivolavano, sulla neve o sul ghiaccio, si rimediava infilando chiodi nelle suole. Ma un giorno, deve mettere le scarpe per un’importante occasione religiosa; non ne possiede e ricorre a quelle che una cugina, novella sposa, aveva comprato per il matrimonio. Oppure quando a nove anni, trovandosi per la prima volta in una casa con il bagno, la prima reazione all’uscita dell’acqua dallo sciacquone del wc è il terrore che si sia rotto tutto.

“È meglio adesso o era meglio allora?”, riflette Rita soppesando pensieri e parole: “Adesso abbiamo molti agi a cui faremmo fatica a rinunciare, per me per esempio il bagno, l’acqua corrente, le case così funzionali, la varietà dei cibi;  però manca quella cosa che ci rendeva un po’ tutti uguali: la nostra vita più lenta, più ritmata, meno imprevedibile, più difficile, ma anche più tranquilla. Ci conoscevamo di più , parlavamo di più, litigavamo anche di più , ma ci si voleva bene”. 

Per leggere e vedere,  https://untempo-inayas.it/la-vita/ricordi/.

In foto Rita Visendaz

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