Ai regi funzionari che si trasferivano con la famiglia nella nuova capitale, veniva dato un vademecum, un libretto di istruzioni su come comportarsi a Firenze con i fiorentini, visti come angolosi provinciali. Un po’ come quando si dotavano di avvertenze molto concrete e irrispettose i diplomatici che si apprestavano a prendere possesso di sedi esotiche e misteriose. Ma non c’era niente di misterioso in quella nobile e prestigiosa città granducale. E, alla fine, chi erano davvero i provinciali, i torinesi francesizzanti o i fiorentini che si apprestavano a regalare la loro lingua all’Italia unita?
E’ questo il filo conduttore di un piacevole libretto scritto da Pier Francesco Listri, giornalista colto e raffinato autore di più di quindici libri sulla storia e le tradizioni fiorentine, in vista dell’imminente 150° anniversario di Firenze Capitale d’Italia. Il libro reca il titolo dell’occasione “Segreti e vita quotidiana di Firenze Capitale 1865 – 1870” (Editrice Le Lettere), ed è “intenzionalmente tenuto su toni leggeri, quasi a voler rappresentare per dir così il gossip dei cinque anni di Firenze Capitale”. Ma la godibilità dello stile, la leggerezza degli aneddoti, il racconto dei difetti di un popolo che non ha mai rinnegato il suo carattere ruvido e il suo amore per la polemica, sono tutti fattori che Listri utilizza per porsi alcune domande che vanno al cuore dell’esperienza che la città del giglio visse in un quinquennio.
Insomma quella che accolse Vittorio Emanuele II, la sua corte, il suo governo, il suo parlamento (e anche le sue amanti e la sua passione per la caccia), era una piccola città fuori dalle grandi correnti culturali europee del tempo, una “Firenzina” piena di vernacolo, pregiudizi, piccoli sogni e piccoli pensieri? La risposta è bene argomentata; Firenze era un crocevia di personaggi, artisti e scrittori, ma anche architetti e ingegneri che rappresentavano al meglio la cultura italiana. E, soprattutto, era la fucina della lingua dell’Italia unita, che vedeva al lavoro Alessandro Manzoni, Edmondo De Amicis, Niccolò Tommaseo, Carlo Collodi e tanti altri. Collodi, in particolare, per Listri è il simbolo di quel periodo, il narratore che ha scritto il libro più tradotto nel mondo dopo la Bibbia.
Così con l’inventore di Pinocchio giriamo per la città che si appresta a cambiare il suo volto con i viali e Piazzale Michelangelo dell’architetto Poggi; che risana con brutalità spesso stigmatizzata il centro; che costruisce i nuovi mercati con materiali e stili che anticipano il liberty.
C’è ancora una virtù della capitale provvisoria che Listri mette con vigore in primo piano ed è rappresentata dal barone Bettino Ricasoli: un uomo tutto d’un pezzo della vecchia aristocrazia toscana, di onestà intellettuale cristallina, che “voleva una Toscana e un’Italia diverse e s’impegnò onestamente per questo, rimase sconfitto; ma oggi, nella storia di quell’Ottocento, è un gigante”.
Nella foto: la Camera dei deputati nel salone dei Cinquecento