La manovra finanziaria targata governo Meloni è stata accolta da critiche non solo da parte delle opposizioni, ma anche da qualche freddezza all’interno della stessa maggioranza. Abbiamo raggiunto Andrea Puccetti, noto imprenditore fiorentino, che fa parte della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, chiedendogli un parere in particolare per quanto riguarda il profilo economico della legge.
“La manovra finanziaria non è una legge qualsiasi ma la più importante dell’anno, decide quante risorse spendere, dove e come – dice Puccetti – Deve fornire una visione, una idea di che tipo di Paese si immagina, dove si vuole portarlo”. Una “mission” che secondo l’imprenditore toscano non avviene con la legge finanziaria 2023, “troppo attenta a misure identitarie, ma non altrettanto a consolidare crescita e buone aspettative raggiunte dal precedente Governo”.
Per quanto riguarda i profili positivi, Puccetti ricorda che “le misure energetiche per contenere i ricarichi delle bollette sulla scia dell’azione del governo Draghi, sono la voce più importante, con 21 miliardi di euro sotto forma di credito d’imposta per esercizi commerciali e per imprese energivore (35 e 45%), mentre, sul lato delle famiglie meno abbienti, troviamo un allargamento della forchetta Isee per accedere ai bonus bollette (si passa da 12.000 a 15.000 euro), ma occorre realmente capire cosa avverrà dopo marzo, in un momento in cui il costo per l’energia delle industrie è passato dagli 11 miliardi del 2021 ai 110 miliardi del 2022”.
Tuttavia, è allargando la prospettiva che “la manovra appare di cortissimo respiro e priva di visione nel suo complesso”.
“Sia sul piano della riduzione del cuneo fiscale, sia su quello del sostegno dei redditi è stata investita una cifra insufficiente – spiega Puccetti – non possiamo dimenticare che ci troviamo in un momento in cui l’inflazione erode fortemente la capacità di spesa e di consumo delle famiglie, avvicinandosi al 12%. In questo passaggio così critico, è previsto un taglio del cuneo fiscale di soli due punti per i redditi al di sotto dei 35.000 euro, misura tra l’altro già in vigore quest’anno, taglio che diventa di appena tre punti per i redditi al di sotto dei 20.000 euro. Veramente troppo poco per garantire ai salariati di fascia bassa almeno una mensilità aggiuntiva, quei 1000-1200 euro che avrebbero compensato la perdita del potere di acquisto causata dal caro bollette e dal caro carrello della spesa”.
Oltre al tema del costo del lavoro e della competitività, un altro motivo di allarme per le imprese è il rischio liquidità. Un rischio che “occorreva attenzionare bene, essendo grave, concreto, oltre a continuare a persistere. Non si vede in manovra la volontà di rilanciare e implementare misure efficaci utilizzate nel recente passato, o fondi specifici come ha infatti sottolineato l’ABI, Associazione Bancaria Italiana, ricordando l’importanza di nuove moratorie e di piani di ristrutturazione per i debiti delle imprese”.
Ancora, un punto critico è senz’altro rappresentato dalle “accise sul carburante in un paese nel quale le merci circolano essenzialmente su gomma: la loro riduzione, decisa dal governo Draghi, aveva dato ossigeno a famiglie e imprese riducendo il prezzo alla pompa di benzina. Appare perciò a mio avviso inopportuna e intempestiva la decisione di annullare la misura, con il risultato di un prezzo al litro che si avvicina nuovamente a 1,80 euro in vista delle feste e dei consumi natalizi, già messi a rischio dal caro bollette”.
Il problema delle misure fiscali e dei prepensionamenti sono altrettanti punti di insoddisfazione per l’imprenditore toscano, che spiega: “Sul piano delle misure fiscali si è preferito dare enfasi alla flat tax, ovvero al pagamento di una cifra fissa nel caso di partita iva, prevedendo l’innalzamento del tetto di ricavi a 85.000 euro. A mio avviso sarebbe stato importante fare leva su fondi premianti l’investimento e la spesa in tecnologia, beni strumentali anche professionali, in formazione, ricerca e sviluppo. Per quanto riguarda l’attenzione ai prepensionamenti, la manovra finanziaria segue una logica identitaria ed elettorale, bruciando risorse importanti che mancano invece sul fronte dell’incentivo alla natalità e del riassetto dell’enorme problema demografico italiano. Occorre ricordare che ogni anno gli anticipi pensionistici si pagano moltissimo e vengono finanziati in pratica con i lavoratori attivi, misure che hanno bruciato risorse da destinare in manovra alla crescita del Paese e alle politiche di occupazione”.
E dunque, cos’è che manca alla manovra per renderla davvero il più possibile, sebbene in condizioni estremamente difficili, manovra di rilancio per il Paese? “In generale – spiega Puccetti – manca la questione dello sviluppo, della scuola, della ricerca, e soprattutto il tema giovanile, non c’è una strategia mirata all’inclusione: si doveva e si poteva spingere su misure a favore dei giovani inattivi, penso all’apprendistato, all’orientamento e all’alternanza scuola lavoro…”. Inevitabile parlare del reddito di cittadinanza, anch’esso strumento di inclusione, se è vero, come emerge dai dati Istat, che ha agito come un enorme salvagente dalla povertà per tantissimi italiani.
“Così com’è sconta un evidente problema sul piano dell’efficienza del ricollocamento – dice Puccetti – non c’è dubbio che vada riformato, ma pare anch’esso essere affrontato in modo demagogico: prevedere l’inserimento di una fase transitoria di soli 8 mesi anziché un periodo cuscinetto più ampio per inserire i cosiddetti occupabili, accompagnandoli da corsi di formazione, appare punitivo e sbagliato, esiste un problema di mismatch tra offerta e domanda di lavoro che non può essere ignorato e occorre concentrarsi su una politica effettiva di reinserimento se non si vuole finire per demonizzare una misura che, a detta dell’ISTAT, ha permesso di limitare di ben un milione l’incremento dei poveri (passato in vent’anni da circa 2 milioni a oltre 5 milioni di individui).
“Ecco perché ritengo che in questa Manovra occorrevano più coraggio, prospettiva e maggiori risorse, cercando le coperture nel mare nostrum della spesa corrente, delle sovvenzioni, dei bonus e delle misure una tantum, di quelle cosiddette taxes expenditure le quali cifrano diversi miliardi di euro con connotazione molto spesso elettorale, ma che poco ha a che fare con una crescita strutturale e organica del Paese”.
Foto: Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia