Proteste, Comuni contro e dubbi tecnici: la via stretta del Ponte sullo Stretto

A maggio le risposte e le integrazioni chieste dal ministero dell’Ambiente

Più che un ponte una favola, un incubo, una leggenda, una bandiera. Calabria e Sicilia, così vicine ma anche così lontane, poco più di tre chilometri tra Scilla e Cariddi. I due mostri omerici, custodi di quei flutti esposti ad ogni bellezza e ad ogni pericolo, sembra stiano ancora lì ad ammonire chiunque voglia profanare quelle acque.

La suggestione di volere uniti quei due lembi di terra ha attraversato la storia e il mito, dai romani delle guerre puniche che dovevano far passare gli elefanti dei Cartaginesi, a Matteo Salvini che vuole anche lui il suo posto nella storia firmando la costruzione del ponte a campata unica più lungo del mondo.

Si comincia nell’800 a pensare più concretamente all’ipotesi di un ponte sullo Stretto di Messina. Nel 1840 Ferdinando II incarica un gruppo di architetti e ingegneri per ragionarci sopra, nel 1866 il ministro ai Lavori pubblici Stefano Jacini e poi dieci anni dopo Giuseppe Zanardelli avviano i primi progetti, che non vanno avanti per le difficoltà tecniche e per i costi eccessivi. Il terremoto del 1908 poi, che devasta Messina e anche la Calabria, scoraggia per diversi anni chiunque avesse velleità di costruire in quel mare così ingovernabile. Ma ci riprovò Mussolini, senza troppa convinzione, a fantasticare su un tunnel sottomarino. Nel secondo dopoguerra, progetti e incarichi si intensificano, fino al concorso internazionale di idee bandito da Anas nel 1969. Undici anni dopo un’altra svolta con il governo Forlani, che costituisce la Società Stretto di Messina e si comincia a fare sul serio commissionando progetti più corposi. Nulla di fatto però, se non i pagamenti alla società, mai bloccati: dal 1981 al 2013 sono stati spesi 312 milioni solo in studi e progettazioni.

Soldi buttati, difficoltà e inconcludenza scoraggiarono i vari governi fino a Berlusconi, che della costruzione del Ponte fece una delle sue bandiere politiche, riprese e integrò il progetto presentato dalla società Stretto di Messina nel 1992 e avviò una gara d’appalto, vinta nel 2005 dal consorzio di imprese Eurolink guidato da Impregilo. Prodi bloccò tutto ma il Cavaliere non mollò e due anni dopo riparte col tormentone del Ponte, portando a termine il progetto nel 2011.

Lo stop successivo arrivò da Monti, e via altri soldi da contabilizzare a vuoto, stavolta di più, 700 milioni chiesti da Impregilo per l’inadempienza del contratto, da sommare a quelli già spesi.  

Siamo ad oggi, con il governo Meloni che consegna  al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini l’onere e l’onore dell’impresa. Lui ne fa un punto irrinunciabile del suo programma, una sorta di vessillo della vittoria, da agitare contro chiunque voglia avanzare dubbi o, peggio, remare contro:  “Il Ponte sullo Stretto lo faranno i migliori tecnici italiani, giapponesi, danesi, spagnoli e americani. E sarà un’opera sicura, utile e sostenibile” continua a proclamare. Vuoi mettere poi 100 mila posti di lavoro previsti, e 22 miliardi di valore aggiunto al Pil?. E che dire dello sviluppo del turismo e dei vantaggi ambientali, con la riduzione dell’inquinamento provocato dal traffico di navi-traghetto, che vomitano ogni anno oltre 140 mila tonnellate di anidride carbonica? E allora avanti a passo di marcia, incalza il ministro leghista, con il cuore che batte a Sud stavolta, macinando annunci e provvedimenti.

Si parte subito, poco dopo l’insediamento del governo e si fa sul serio, si riacciuffa il progetto portato a termine da Berlusconi nel 2011, lo si aggiorna. E si riapre la borsa, destinando all’opera 11.630 miliardi di euro.

Ecco le tappe: a marzo 2023 il Consiglio dei ministri approva la bozza del decreto legge 35 che norma e dispone sulla costruzione del Ponte, decreto convertito a maggio 2023 . La legge di bilancio ogni anno destinerà  all’opera circa un miliardo fino al 2032, anno in cui è prevista la chiusura dell’opera. Secondo il timing salviniano si può partire coi lavori già a fine estate 2024.

Ma, in mezzo a queste linee generalissime e ambiziose la volata di Salvini verso il Ponte diventa corsa a ostacoli, su tutti i fronti, da quello economico, con le Regioni Calabria e Sicilia contrariate non poco quando si sono sentite chiamare a contribuire di tasca propria più del previsto perché i conti dello Stato sono in sofferenza, fino alla questione ambientale:  l’’ecomostro’ va fermato con ogni strumento dicono verdi ed ecologisti. E le opposizioni politiche sono già corse alla magistratura con l’esposto di Angelo Bonelli, Elly Schlein e Nicola Fratoianni, accolto dal pm di Roma che ha aperto un fascicolo.

Tutti  accumulano e agitano pareri e rapporti. L’ultimo e più consistente demolisce il progetto: sono 534 pagine redatte da 38 esperti tra cui 12 professori universitari di 9 atenei d’Italia, inviate dalle più grandi associazioni ambientaliste insieme con i comitati cittadini,  nell’ambito della procedura di Valutazione dell’Impatto Ambientale- VIA.

Queste le obiezioni ricorrenti fra gli oppositori a vario titolo: lo Stretto di Messina è un’area inadatta a un’opera così imponente, ci sono correnti e venti fuori controllo che possono arrivare anche a 150 chilometri all’ora se si incattiviscono e che costringerebbero perfino a chiudere il ponte nei momenti più critici. Ancora, si ricorda il rischio sismico e di maremoto, l’inquinamento, anche acustico, la distruzione prevista di 13 siti ambientali protetti, e infine c’è il vuoto infrastrutturale delle Regioni da connettere a un’opera gigantesca che finirebbe nel nulla di territori le cui reti ferroviarie sono in gran parte rimaste al binario unico.

Le proteste agitano anche i 450 residenti da espropriare, 150 sul lato calabrese e 300 sul lato siciliano: il 3 aprile scorso hanno letto l’avviso sui giornali per l’avvio delle procedure che li costringeranno a lasciare le case di famiglia dove molti vivono da generazioni. L’avvocata Aurora Notarianni, che li affianca nel resistere agli espropri, usa toni drammatici, parla di “città cancellate dalla cantierizzazione. Il Ponte – avverte – per le popolazioni interessate sarà distruttivo come il Terremoto”.

Ad aprile è successo molto altro, il 16 la prima Conferenza dei Servizi indetta dal ministero dei Trasporti con la società Stretto di Messina, le Regioni e i comuni interessati, per acquisire informazioni e avviare la fase istruttoria prima dell’ok definitivo al progetto che dovrà dare il Cipess. E arrivano anche i pareri negativi dei comuni di Villa San Giovanni, Messina e Reggio Calabria su varie questioni, soprattutto procedurali.

Ma il colpo che sembra fare più male ai ‘Sì Ponte’ viene dai tecnici del ministero dell’Ambiente che il 15 aprile chiede alla Stretto di Messina 239 integrazioni di documenti. “Il Mase ha pigiato il tasto ‘Reset’”, commenta subito il capogruppo del M5S al Senato Stefano Patuanelli, ma è lo stesso ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin a gettare acqua sul presunto fuoco amico: “E’ del tutto ordinario – rassicura – che ci siano osservazioni e richieste di dati e informazioni tecniche da parte della commissione Via-Vas”. Anzi, aggiunge, “i quesiti sono pure pochi se paragonati ad altre opere. La diga di Genova ne aveva molti di più ed è stata autorizzata nei tempi regolari”.

Eppure le osservazioni del ministero vertono su questioni dirimenti, sono 42 pagine di richieste su tutti i nodi sensibili del progetto, dalle compatibilità coi vincoli ambientali, compreso l’impatto sulla flora e la fauna, al rapporto costi- benefici, al rischio di maremoti, alla questione dell’inquinamento acustico. Su tutti c’è una sorta di bocciatura generale per la documentazione fornita, incompleta e poco chiara.

Per le opposizioni si è trattato di una nuova chiamata alle armi. Il Pd, per bocca della sua responsabile Ambiente Annalisa Corrado, bolla il Ponte come “un’opera da rigettare con tutte le forze, un enorme giocattolone per l’ego di qualche politico che lo usa per fare propaganda senza pensare all’emorragia di fondi pubblici e agli echi di devastazione. Un ecomostro irrealizzabile da fermare subito”.

Salvini sembra non preoccuparsene e, chiamato al question time in Senato tre giorni dopo rassicura: “La richiesta di approfondimenti è del tutto fisiologica e la società del Ponte di Messina ha garantito che entro 30 giorni risponderà a tutte le questioni sollevate dal ministero”. Quindi “vado avanti dritto” taglia corto Salvini e conferma l’inizio lavori entro fine estate 2024, o al massimo entro fine 2024.

Appuntamenti importanti anche a maggio quindi, sono attese le risposte e integrazioni di documenti chiesti, nel frattempo continuano le manifestazioni, il 25 tocca a Villa San Giovanni radunare tutti i ‘No ponte’ d’Italia. Salvini resiste e spiega le vele. Lui va sempre ‘Controvento’, come il titolo del suo libro in uscita il 30 aprile. Contro tutti i venti che agitano lo Stretto per affondare il Ponte. ‘Controvento’, come un nuovo Ulisse, con buona pace di Scilla e Cariddi.

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